di Guido Pesci
Il Movimento dei Pedagogisti Clinici per promuoversi in azioni di aiuto alla persona, negli anni successivi al ’68, ha condotta una approfondita ricerca su ciò che era considerato il “vero problema”: la sessualità; il complesso dei caratteri e dei fenomeni relativi al sesso, nel rapporto con gli altri e con sé stesso. Questi lavori di ricerca si espongono nei titoli già apparsi in questi due mesi nei blog del sito ANPEC, firmati da chi ha vissuto in quelle epoche e da cui la Pedagogia Clinica ne ha tratto grande vantaggio.
Pedagogia Clinica : Il problema donna
La Pedagogia Clinica si è impegnata fin dalla sua iniziale esistenza in difesa del rispetto della donna. Negli anni ’70 ha messo in evidenza come l’aiuto alla donna dovesse muovere dalle caratteristiche qualitative che la designano nella sua unicità e globalità rivolgendosi a lei come protagonista di vita. Battersi per riconoscerla contro ogni conformismo, in opposizione ad ogni passiva accettazione e consuetudinario rispetto di norme di condotta imposte dal costume sociale e dall’autorità dello Stato è stato un impegno costante per mezzo del quale la Pedagogia Clinica ha creato la promozione dell’identità e ogni concezione positiva in difesa della sua autonomia.
Una scienza in opposizione, fin da allora, contro chi identifica la donna come “natura” per la facoltà di generare, per la ciclicità del mestruo, per le angosce paniche, per il suo essere oggetto di manipolazione, di scambio, di dominazione; donna-natura che la cultura vuol presupporre limitata in questo binomio di forze parallelamente simbolizzate, immersa in una cultura gerarchica, tecnocrate, che la oscura nella naturalità, nella qualifica autoritaria di casalinga e ne soffoca ogni vera liberazione.
Gli aspetti culturali ed energetico-affettivi dell’oppressione femminile sono stati oggetto di appassionate analisi condotte dal Movimento dei Pedagogisti Clinici e indirizzate ai condizionamenti che gravano sul ruolo e sulla posizione reale nella vita socio-economica, trovando conferme sull’esistente passiva emulsione e seguace accettazione di un conformismo di interessi e aspirazioni.
La Pedagogia Clinica ha aiutato la donna a maturare aspirazioni, prendere coscienza di sé, dei suoi diritti, fino ad impegnarsi socialmente e politicamente, donna sostenuta dal desiderio di riuscire a realizzare qualcosa di nuovo e di autentico in un momento sociale confuso circa i valori fondamentali del rispetto della persona.
Il Pedagogista Clinico® in opposizione a quanti vendevano perfino le miracolosità dei “Cinquantun modi per diventare una donna liberata” ha sostenuto da allora il progresso della donna nella sua emancipazione e l’ha aiutata a farsi parte attiva del rinnovamento della società, riconosciuta nella sua ricchezza interiore espressa per mezzo di disponibilità, interesse, desiderio e piacere nel vivere la vita di relazione. Ciò ha trovato significato nell’assumere in sé una coscienza della propria individualità e acquisita la cognizione di essere causa di certi cambiamenti che si verificano nell’ambiente sociale e con essi di avere la dimostrazione di come la sua condizione è misura della società.
L’uomo e la donna, coppia e Pedagogia Clinica
Cinquanta anni or sono la crisi della coppia sostenuta dal movimento femminista era molto acuta a causa della rivisitazione del rapporto fra le componenti, e per questa situazione conflittuale il Pedagogista Clinico®, considerato un professionista con competenze idonee per un aiuto educativo, veniva frequentemente consultato.
Il rapporto di coppia era comunemente descritto in termini accusatori, strutturato su schemi rigidi e quindi riduttivi e immobili che mettevano in forse la struttura relazionale. Le motivazioni della crisi della coppia evidenziavano gli sbilanciamenti di equilibrio a favore ipotetico dell’uomo o della donna considerati come aspetti parziali di un rapporto, due entità isolate.
La divisione di compiti e di poteri, correlati peraltro a guadagni narcisistici sostanziali sia per l’uomo che per la donna, non bastavano più alla copertura difensiva di conflitti e problematiche personali. Capitava che l’osservazione di una coppia permettesse la ricognizione di tante fra queste discordanze a cui si aggiungevano assai frequentemente quelle dovute a questioni di soldi, a cattivi rapporti con le famiglie di origine, a problemi creati dal lavoro del marito o della moglie, a problematiche dovute alla mancata soddisfazione di coloro per i quali il matrimonio aveva il significato di sistemarsi, accettare le fine dell’adolescenza, labile e capricciosa, smettere di divertirsi per diventare adulti, seri e responsabili, mettere “testa a posto e figli al mondo”, anziché investire sul vivere più pienamente e profondamente il proprio legame.
Al Pedagogista Clinico®, aiutato dal materiale ricavato dall’osservazione, veniva riconosciuto il compito di vincere l’antinomia delle due posizioni, metterle in parallelo e da entità isolate, farle confluire in una relazione.
L’esempio può scaturire da una coppia seguita per alcuni mesi e che in dinamica aveva esposto un conflitto per mancati reciproci riconoscimenti. Ambedue si sentivano trascurati l’uno dall’altro, e lamentavano ciascuno tipi diversi di riconoscimento non soddisfatto che, astraendo dai contenuti di quanto veniva palleggiato si poteva osservare che non esistesse una relazione di scambio, oppure dal punto di vista semiotico che questa relazione era una elazione di scambio. Affinché il processo di traduzione potesse fare chiarezza e permettesse di fare una più attenta lettura delle insidie, delle convinzioni, reazioni e paure per un lento processo di consapevolezza, di crescente coscienza, in modo di analizzare e interpretare la vita e indirizzare positivamente lo sviluppo del sentimento si sollecitava nei due protagonisti la necessità di rivolgersi alle relazioni sane e all’analisi dei rispettivi bisogni. Nella coppia l’intesa sessuale era presente, solo frenata, poiché ciascuno si sentiva sotto esame, ma l’amore era presente e così il desiderio di uscire dal conflitto e la disponibilità ad una collaborazione creativa, perciò a questa coppia venne richiesto di realizzare assieme composizioni di figurazioni con linee, tratti, macchie, colori, con l’obbiettivo di favorire l’autocontrollo riducendo le reazioni emotive troppo intense, e sviluppare una performance negli adattamenti. Due creatività differenziate che hanno dato luogo alla nascita e alla crescita di una relazione armonizzata dal significato di coppia. Le caratteristiche di entrambi i partner si sono infatti reciprocamente integrate e accettate da una costruzione che hanno condotto gradualmente assieme e che ha permesso di superare la frattura.
Si è avvalorato che l’antinomia della crisi della coppia, in tante occasioni oltre a quella descritta era semiotizzabile dimostrata dalla comunicazione e della significazione dei messaggi, dal riconoscimento di attitudini e di bisogni che possono essere elaborati in un intervento di aiuto personalizzato dai desideri e soddisfatto da una rigogliosa prospettiva di durata con una soluzione veramente matura, capace di soddisfare i mutamenti pur bruschi del costume amoroso e le rudi discrasie fra tradizione e realtà.
Vecchio e vedovo
Le richieste di aiuto che giungevano al Pedagogista Clinico® negli anni ’70 per fronteggiare l’“amara vecchiaia” erano in gran numero e in particolare giungevano da uomini vedovi che, rimasti soli tendevano ad evitare ogni loro precedente amicizia. La loro asserzione costante lamentava che “tutto va bene finché il vecchio serve ancora a qualcosa” e che in un suo particolare momento di bisogno i familiari “quasi ti ordinano di essere felice entro domani”. Una società in cui il vecchio che aveva bisogno di aiuto disturbava il giro del lavoro, degli affari, delle vacanze, della tranquillità davanti al televisore. Poche le visite, sempre frettolose e soffocanti di particolari raccomandazioni, come nuove regole dei rapporti umani, sostituti di amore e di premura, la premura di “aiutare il sole a calare più in fretta”. Queste le frasi di un vecchio seguito nel nostro Centro Studi Antiemarginazione e inserito in un clima sociale “distratto”. I vecchi (o se vogliamo gli anziani) presenti nei nostri studi avevano tutti partecipato fino a quel momento ad una vita attiva e piena di interessi e di impegni sociali e adesso si trovavano ad affermare “la nostra società non scherza, a chi non è attivo concede a malapena di restare al mondo”.
Depressi? Non esponenti una categoria nosologica, ma certo insoddisfatti, frustrati, per sentirsi “ingombranti” e per subire un simulato o dissimulato ostracismo, un isolamento fisico, psichico e sentimentale, a cui dover dare risposte affinché potessero ritrovare un personale spazio di vita e di ottimismo. Era necessario che l’aiuto pedagogico clinico si proponesse una calda attenzione ed accoglienza, l’amore in senso umano e sociale, adatto per superare la tristezza di una vecchiaia vissuta male e minacciata da un disumano isolamento. Questo vecchio ha trovato risposte positive nel leggere, svelare e descrivere i contenuti del “testo” della propria soggettività, nel tenere presenti i bisogni e soddisfarli con modalità armonizzate e flessibili sostenute da un criterio di attualizzazione pratica di principi, metodi e tecniche della Pedagogia Cinica , impiegate in dinamiche relazionali idonee a fare affiorare alla coscienza risposte a differenti condizioni iniziali di necessità intese a promuovere un’efficace e attiva partecipazione, ottenere una migliore padronanza delle potenzialità e abilità fisiche e psichiche per sviluppare una personalità armonica. Compito impegnativo quello del Pedagogista Clinico® che dal sostare inizialmente vis a vis ha poi registrato l’utilità di sostare l’uno a fianco dell’altro sul divanetto, per continuare nell’esplorazione dei luoghi oscuri, dove poteva stentare a procedere e promuovere un rinnovato equilibrio. Il consolidamento personale individuale si è rafforzato con stimoli assunti dalle immagini mentali, metodo che più tardi assumerà la definizione di PictureFantasmagory®. Immagini che si avvalgono di racconti che introducono la persona nel mondo simbolico aiutandola a ritrovare la volontà, la determinazione e il desiderio di vivere la vita con entusiasmo e facilitare l’affermazione progressiva di sé. Sono racconti immaginativo fantasmatici che la persona vive come protagonista, azioni affrescate da imagos che sviluppano l’espansione della disponibilità e le soluzioni per soddisfare i personali bisogni. Si trattava di far tornare la persona a rivolgersi verso i propri interessi, acquistare il giornale, leggerlo e per mezzo di esso partecipare come era suo solito a vernissage, ad incontri, dibattiti, assieme ad una schiera di amici, reintrodurla in un positivo circuito di impegni.
Paura di non sapere amare
La paura di non sapere amare era molto frequente dopo il ’68 e tanti gli uomini che chiedevano aiuto al Pedagogista Clinico® per sviluppare le intenzionalità e vincere l’insuccesso. Il maschio manipolato, cresciuto nel segno della violenza di una società con rituali di comunicazione prét-à porter al femminile vive l’immagine della virilità costretta all’insuccesso, al rimpianto e alla vergogna.
Il ruolo maschile è reso timido, con scarse capacità reattive, affranto dalla paura di “non essere all’altezza” con frequenti recessi nel vittimismo e nell’autoerotismo. Uomini che dichiarano la fatica di essere moderni, diretti a identificare il sesso con il dinamismo, con la bellezza fisica e l’ostentazione, riconoscimenti in mancanza dei quali giungono perfino a spiegare l’incomprensione della donna, moglie o convivente e perfino la ragione di “essere messo da parte”.
Cresciuti con il timore dell’insuccesso pur desiderosi di essere uomini di “carattere” declinano nella segreta sofferenza, senza più risposte alla domanda: chi è l’uomo? E il sesso diventa ossessione con crescenti difficoltà pratiche tra confusione indotta e funzione.
È il momento storico in cui la precettistica dell’amore esce allo scoperto su quotidiani e riviste da imbarazzare la scelta e rendere facile l’acquisto di ricettari del matrimonio perfetto con descrittivi vademecum sulle posizioni, i ritmi, le frequenze, le astuzie nel copulare ove si voglia il massimo rendimento; confezioni gastronomiche dell’amore per incrementare il reciproco gaudio.
Gli uomini sopraffatti da questo vortice di insensibilità, offensivo o semplicistico, confusi, si presentano negli studi alla ricerca di una via d’uscita e in alcune occasioni viene loro proposto il riposo e la distrazione e perfino diete appropriate e indicate pomate e farmaci per una maggior frequenza degli amplessi e giochi, con durate da record.
Fin da quei tempi lontani il Pedagogista Clinico® si proponeva di aiutare l’uomo a riflettere sulle insidie, a riconoscere le barriere e le contraddizioni, e promuovere l’evoluzione e maturazione della dinamica espressiva che consentiva di vivere le esperienze con sentimento ludico-sessuale. All’utilizzo della riflessione (metodo che più tardi si consoliderà nel Reflecting®), tenuto presente come la comunicazione della coppia sia un codice fatto di segni, un lessico che racchiude un significato profondo per l’altro che li riceve capace di creare stimoli e comunicare sensazioni ed emozioni, il Pedagogista Clinico® aggiunge l’utilizzo di immagini mentali con effetto richiamo traducibile in ammirazione di dati da imitare e sollecitazione di stimoli sesso-affettivi; istanze attrattive e seducenti da catturare e consolidare, idonee a promuovere disponibilità al dialogo valorizzate da positive condotte in modo che ogni occasione di scambio possa mutare in accessi alla soddisfazione erotica. Si tratta di immagini per sviluppare un’attrazione eccitatoria consolidata da amore, reazione emotiva che aumenta la capacità di azione del corpo e rende fluida la dinamica affettiva a cui corrisponde quella dell’azione e del pensiero. Questi nuovi orientamenti giungono dalla Pedagogia Clinica , giustificati dalla consapevolezza che le azioni e i pensieri dell’individuo non nascono senza motivo, bensì si generano anche in base ai sentimenti e alle emozioni, specie se derivate dal clima che si instaura con gli altri, e i suoi metodi, nell’intervento di aiuto, permettono di sperimentare tutte le sensazioni che confluiscono nell’affettività e le manifestazioni emotive che migrano fra sé e gli altri, fino alla possibilità di aprirsi e distribuirsi espressivamente con abilità comunicazionali. È la capacità, perseguita dalla Pedagogia Clinica , e offerta all’uomo per sviluppare l’iniziativa e l’intenzionalità, per affermarsi e avere il ruolo che gli compete.
Movimento dei Pedagogisti Clinici. La parola alla donna.
All’interno del Movimento dei Pedagogisti Clinici le donne hanno avuto sempre un ruolo molto attivo e intonato sui temi dei movimenti per la liberazione, come il tema della maternità, della contraccezione, dell’aborto, della casa, della scuola, della fabbrica, sostenuto da una maturità socio-politica che si andava sempre consolidando.
La voce delle donne del Movimento fu nutrita da toni alti per uscire dall’imposto ruolo tradizionale di casalinga, un lavoro domestico non retribuito, limitato nel produrre esclusivamente valori d’uso e non di scambio, responsabile di ripercussioni negative sullo status socio-economico e de-nutrizionale l’incisività delle motivazioni e degli atteggiamenti culturali femminili.
Toni alti furono utilizzati anche per accusare il ”lavoro nero” a domicilio in cui le donne furono adibite a dispregio di tutte le leggi, a cucire, filare, incollare tomaie o giocattoli di plastica, un lavoro nero a cui venne fatto ricorso dopo che dal decennio ’60, anni delle trionfanti minigonne, del giovanilismo, delle più allargate libertà, era incominciato il regresso, periodo in cui un milione di donne vennero rinviate da fabbriche e uffici a far gli angeli del focolare e l’occupazione femminile tornò ad essere ai più bassi livelli, come nei primi anni del secolo.
Furono anni in cui le donne del Movimento dei Pedagogisti Clinici si batterono per richiedere con elaborazioni teoriche programmatiche una definita emancipazione della condizione femminile e indirizzarono le loro forze anche contro ogni disprezzo di quanti le consideravano fiori da cogliere, prede da circuire, oggetti su cui esercitare un incontrastato e indiscutibile dominio da quanti le volevano tenere lontane dalle responsabilità gerarchiche, e contro gli scienziati che con bilancino alla mano cercavano di dimostrare che il cervello femminile pesa meno di quello maschile e quindi vale meno. Con energia costante esse si sono battute contro chi non riconosceva le loro qualità professionali e chi ne limitava i diritti, chi le voleva cortigiane, tenere e perfette nutrici, spose esemplari o sante, comunque stupide che valgono meno del maschio, donne insomma: casa, chiesa, cucina; la donna 3C sulla quale incidevano la menomazione morale, fisica o intellettuale. Al Movimento il compito di battersi e vincere anche la lacerazione dovuta alla soggezione che molte donne vivevano nei confronti dei gruppi femministi intellettuali, per spiegare che pur non avendo letto i saggi di Marx o di Engels, ignorare Freud e Reich, non conoscere né Kate Millet né il manifesto delle Pantere rosa non toglieva loro il doversi sentire impegnate a battersi contro le trame di una rete che le imprigionava, le limitava e le umiliava. Questa elaborazione ha spinto le donne del Movimento dei Pedagogisti Clinici a rimeditare le teorie classiche sulla condizione della donna in modo da avere una conoscenza scientifica delle forme, degli ambiti e delle idee che procedendo dal ludismo del primo periodo, sostanziavano la formazione di una coscienza costruttiva ed efficace del presente.
La voce delle donne nel nostro Movimento non ha mai scivolato in elaborazioni distruttive dei maschi come i reali nemici da battere, anzi la liberazione femminile è stata vissuta non come un separatismo, ma come una ricerca di intese che ha ben trovato nei colleghi maschi anche utili acuti nel grido ”donne istruitevi”. Del resto le donne del Movimento erano laureate ed erano prova di come quel sapere e quel ruolo le aveva permesso ricchi riconoscimenti e una coscienza viva per opporsi con strategie a lungo termine ad ogni eventuale mancato riconoscimento e rispetto.
Educazione sessuale e Pedagogia Clinica
ll sesso negli anni ’70 era considerato il “vero problema” e l’educazione sessuale costretta a battersi contro quello che era considerato il “feudalismo dell’amore”, sesso declinato in “certe cose”, vissuto come tabù.
In questo periodo storico si stampano “guide ai problemi” e riviste con formule dichiarate come “idee nuove” e perfino una incontrollata ondata di pubblicazioni erotiche. L’argomento trova spazio nella cronaca dei giornali dove vengono ospitate polemiche sostenute da segnalazione o denunce di cittadini “morigerati” o colti da pruderie.
Sull’argomento dai molteplici aspetti, morale e religioso, umano e sociale, igienico e sanitario non poteva mancare l’impegno della Pedagogia Clinica .
Il Pedagogista Clinico® occupa spazio nei dibattiti, propone incontri ai genitori e promuove l’educazione sessuale nelle scuole non dimentichi che la prima legge per l’introduzione dell’educazione sessuale nelle scuole non era già stata “preparata” prima della guerra del 1915 e nessuno negli anni ’70 del secolo scorso era ancora in grado di prevedere in quale decennio di quel secolo o del successivo si sarebbe cominciato in Italia a fare ciò che da tempo si faceva in altri paesi. Nell’interesse del singolo e del sociale gli incontri con i genitori inseguivano il principio che se fossero stati resi abili nel dare adatte risposte ai figli avrebbero potuto essere loro ad assolvere ad un compito così delicato. La formazione sessuale offerta ai genitori era sostenuta da una dinamica di scambio su aspetti che non trascuravano ogni momento dell’evoluzione dell’uomo a partire dal neonato, al lattante, ai vari momenti nelle diverse funzioni corporee fino alla pubertà e all’età adulta, basata sul motto “molta chiarezza e nessuna censura”.
I Pedagogisti Clinici, oltre alla formazione dei genitori, diedero inizio alla formazione sessuale agli allievi nella scuola, ciò che veniva realizzato con l’uso di diapositive per esporre con scientificità ogni anatomia e funzione. I dati raccolti conseguenti queste formazioni e presentati al Cenacolo dei Movimento dei Pedagogisti Clinici furono studiati e analizzati e posero in evidenza il disagio e la distrazione provata da un’alta percentuale degli allievi delle elementari e medie e ancor più un elevato disagio e una più ampia distrazione dimostrate dagli allievi delle medie superiori nonostante le arricchite esposizioni sulle malattie veneree, l’aborto e la regolazione delle nascite.
Con questa sperimentazione si ebbe la conferma che l’educazione sessuale non dovesse basarsi su un corredato visivo sostenuto da diapositive e che l’educazione sessuale per qualunque età dovesse fondersi con l’insegnamento dalle varie e diverse materie di ogni giorno porgendo preventivamente agli insegnanti la preparazione necessaria per assolvere ad un compito così delicato, liberi da preoccupazioni ideologiche.
I progetti per la preparazione degli insegnanti sostenuti dalla Pedagogia Clinica strutturati per consolidare questo orientamento, prevedevano esperienze formative che liberassero gli insegnanti dalle tracce presenti nella voce popolare che fa credere morale solamente ciò che è puro nella vita sessuale, e immorale ciò che non è sessualmente astinente, e pure una disponibilità a riconoscere e saper attestare che le funzioni sessuali rappresentano uno dei bisogni normali dell’uomo e l’istinto sessuale deriva originariamente da un bisogno di eliminazione della sostanza germinale. L’impegno era di aiutare gli insegnanti a liberarsi da ogni pregiudizio sulle malattie veneree e evitare di considerarle malattie vergognose da nascondere impedendo così di intervenire tempestivamente, ed emanciparsi dalla stolidità e sapersi coniugare al fatto che i caratteri maschili e femminili sono ripartiti diversamente nei singoli individui. Il progetto chiedeva inoltre che l’equilibrio affettivo-sessuale dell’insegnante dovesse evitare di considerare una immoralità l’uso frequente e ripetuto dell’attività sessuale, rivedere i propri eventuali rigidi precetti che presuppongono una costituzione ed una situazione ormonica uguale per tutti. L’insegnante doveva avere la lealtà di riconoscere che esistono delle donne come degli uomini nei quali il bisogno sessuale è assai vivo, che l’onanismo non è un “turpe vizio”, una pratica oscena che abbrutisce, specie se presente come fenomeno di psittacismo, doveva evitare che l’omoerotismo, oggi più frequentemente definito omosessualità, la variazione di certi caratteri somatici e psicologici, crei perniciosità, riesca sgradevole fino al rifuggire dal sostare su tali manovre erotiche.
Tanti i fenomeni sessuali su cui il progetto imponeva di fermarsi per garantire all’insegnante un abito che potesse permetterle di riconoscere che tutti gli uomini possano svolgere le facoltà che la natura ha loro concesso, saper sostare senza nessuna difficoltà su aspetti biologici e funzionali e promuovere negli allievi esperienze maturazionali basate sull’affettività, sull’armonia delle intese, migliorare per vie elettive atteggiamenti e comportamenti utili per un esprimersi e un comunicare efficace. Il compito educativo di un insegnante si ritrova anche in questa messaggeria poiché è finalizzata ad aiutare ogni allievo a gestire e modulare una disponibilità a cogliere le emozioni ed armonizzarle, a riflettere sul valore dell’espansione della relazione intima e sulla necessità di amare, basi per l’edificazione di una personalità bene integrata, idonea ad armonizzare gli aspetti emotivi.