di Luisa Susanna Viviani
Lo spazio in cui si muove il Pedagogista Clinico® è quello di una azione formativa rivolta sia alla persona singola nella sua globalità, sia all’intera organizzazione, in un’ottica di evoluzione emotiva, relazionale, sociale.
Il suo sguardo è volto allo sviluppo delle risorse, alla motivazione, alla condivisione, alla sensibilità umana, alla lettura delle emozioni, alla gestione dei conflitti, alla crescita personale e sociale.
Negli ultimi trent’anni si è realizzata una profonda trasformazione dell’immagine dell’infanzia, anche in conseguenza del nuovo quadro di consapevolezze circa le notevoli competenze che i bambini manifestano relativamente allo sviluppo delle loro esperienze e conoscenze già nei primi anni di vita. Tali nuove consapevolezze sulle potenzialità infantili e sull’attivo protagonismo che i bambini esprimono all’interno del processo della loro crescita hanno sollecitato ad una revisione radicale della funzione educativa degli adulti. Essa comprende non più solo la disponibilità a elargire cure ed affetto, ma la capacità di progettare e di offrire contesti di esperienze opportunamente organizzati, tali da corrispondere meglio alle cospicue e ancora non del tutto sondate potenzialità sociali e conoscitive dei bambini.
La famiglia, da sempre prima “agenzia educativa”, può trovare nella Pedagogia Clinica e nel rapporto con il servizio educativo per l’infanzia una sponda di sostegno alla funzione genitoriale, non solo per quanto concerne la parola degli esperti, ma anche attraverso la possibilità di elaborare ed evolvere il proprio ruolo nella socializzazione e nel confronto delle esperienze del nido, della scuola materna e della primaria.
Pertanto, come Pedagogista Clinico, nell’ottica del confronto, del sostegno e della prevenzione alle difficoltà relazionali, sono stata chiamata in diverse scuole di Genova e di Savona, sia pubbliche che private, a promuovere, per genitori e insegnanti, “itinerari di formazione personale” che, con una metodologia che privilegia la sperimentazione dei partecipanti, hanno favorito il dialogo così da far riscoprire la linea di continuità di un agire educativo consapevole tra Scuola e Famiglia.
Le mie proposte hanno voluto fornire anche uno spunto di riflessione nei riguardi della affettività e della socialità, quali opportunità per i genitori e le insegnanti che scelgono di impegnarsi nell’educazione affettiva, cioè nell’educare al riconoscimento delle proprie emozioni e dei propri impulsi per instaurare e mantenere relazioni sociali soddisfacenti, così da migliorare il clima emotivo a scuola.
La matrice pedagogico-clinica ha caratterizzato queste mie esperienze di ricerca di strategie di accoglienza e di comunicazione fondate sulla circolarità (accettazione e ascolto dell’altro). I partecipanti sono stati sollecitati ad impegnarsi in lavori personali, a coppie e in gruppo. La persona, in Pedagogia Clinica, è infatti vista non solo come individuo, ma come “essere sociale”, con le sue molteplici e dense relazioni, con la necessità di sviluppare continuamente un adattamento alla realtà sociale nel rispetto dei suoi tratti di identità, di unicità e di determinazione storico-culturale.
Il percorso rientra nell’ambito di una “Educazione permanente per adulti”, e consente di comprendere meglio se stessi, di potenziare il dialogo interpersonale, di ampliare la conoscenza e l’ascolto, di crescere insieme come comunità educante.
Il lavoro è stato impostato tenendo presente la forte incidenza della dimensione emotiva nella nostra vita.
Nell’ultimo decennio la frammentazione delle relazioni umane e il crescente uso dei mass media hanno prodotto negli adulti una difficoltà nell’instaurare rapporti positivi, nell’inserirsi in un gruppo, nell’andare incontro agli altri, nel dominarsi e superare costruttivamente i conflitti. Ciò ha portato ad un eccessivo egocentrismo e ad un aumento di atteggiamenti aggressivi anche nei bambini/ragazzi.
La scuola, oggi più che mai investita di un notevole carico affettivo-relazionale, necessita di approfondire le sue conoscenze circa le modalità e i metodi che possono favorire una educazione socio-affettiva, così da diventare ponte significante tra genitori ed insegnanti e tra bambini/ragazzi e adulti.
Molti degli strumenti e dei materiali propri del Pedagogista Clinico hanno il vantaggio di poter essere adattati alla quotidianità di ogni singola scuola.
L’esperienza con i gruppi di adulti mi ha apportato, e mi apporta tutt’ora, un grande arricchimento in costante evoluzione, grazie al fattivo contributo di coloro che hanno partecipato e condiviso le loro esperienze talvolta anche difficili.
Crescere insieme
Il corso era rivolto a genitori, insegnanti, educatori, operatori del settore socio-educativo. Si prefiggeva di promuovere o favorire la cooperazione e il dialogo tra Famiglia e Scuola in un’ottica di continuità e nella condivisione di obiettivi educativi comuni; facilitare la creazione di una rete di rapporti, in cui ognuno si sentisse partecipe ed “insieme”, per impedire l’isolamento; attivare un processo di ricerca e di autoeducazione nei genitori, insegnati/educatori coinvolti; permettere di riscoprire, di migliorare e di utilizzare le proprie competenze educative.
Obiettivi
Offrire uno spazio di accoglienza e di accettazione, Dal fare domande al porsi domande, ossia: aiutare ad interrogarsi ed a rendersi consapevoli dei propri comportamenti e dei modelli che influenzano i modi di agire personali; stimolare la raccolta di ulteriori informazioni e risvegliare la riflessione: saper problematizzare, saper elaborare una riflessione educativa; riscoprire le proprie risorse e competenze al fine di aumentare l’autostima; facilitare la comunicazione interpersonale, così da acquisire sia abilità nell’ascolto attivo e nell’espressione dei sentimenti, sia capacità di entrare in rapporto empatico con i figli/bambini/ragazzi; potenziare la propria creatività e consentire ad ogni persona di sentirsi agente di cambiamento per se stessa e per l’altro.
Tipologia dell’intervento e tecniche utilizzate
Nella mia esperienza di Pedagogista Clinico la modalità privilegiata è quella del laboratorio. Il cimentarsi in e con esperienze e tecniche diverse mette in luce la dimensione personale, quella relazionale, quella sociale.
Con il laboratorio ci si mette in gioco ed emergono aspetti significativi della personalità, ovvero creatività, emotività, valori.
− Sviluppo della creatività: le attività di laboratorio consentono a chi vi si trova impegnato di percepirsi come protagonista, di accrescere l’inventiva, l’intuizione, la fantasia e di sperimentare le proprie potenzialità fino a giungere a ri-scoprire il suo sé e a rafforzare l’identità in un processo auto-educativo.
−Affinamento della capacità emotiva: il soggetto, impegnato attivamente e concretamente, si sperimenta in un percorso, che è un processo di “costruzione”, in cui è presente un inizio, uno svolgimento, una conclusione. Esercita così la capacità di rimandare una soddisfazione immediata per un piacere più grande, assaporabile nell’opera conclusa, imparando a leggere le emozioni, a non temerle, a gestirle.
− Rafforzamento delle attitudini valoriali: nel laboratorio il gruppo, spesso “gomito a gomito”, sperimenta, rielabora, condivide anche momenti forti, confronta le idee che si possono modificare e riformulare. Spesso il confronto porta allo sradicamento del pre-giudizio, al chiarimento, ad un costrutto simpatetico. Si impara a gestire la comunicazione, a comprendere l’ascolto come valore e si risvegliano qualità e attitudini come la cooperazione, la comprensione, la solidarietà.
Nel percorso “Crescere insieme” si sono attivati laboratori espressivi, di movimento e di creatività, in cui sono state utilizzate le tecniche specifiche dei metodi propri della Pedagogia Clinica, come l’EdumovementÒ, il BonGesteÒ, l’Inter-ArtÒ, l’MPI (Memory Power Improvement)Ò, il Training InduttivoÒ ed altri, che coinvolgono in esperienze individuali e di gruppo e promuovono il confronto e l’integrazione.
Il corpo è vivo, ci parla, ed è un eccezionale rivelatore del nostro panorama interiore. Il soggetto attraverso l’uso del corpo impara a leggere le emozioni in sé e negli altri, le “interpreta”, le danza. Il movimento spontaneo del corpo nello spazio durante un brano musicale, una serie di attività motorie specifiche, il lancio del gesto nell’aria, associato alla respirazione e al ritmo, l’uso della voce come rinforzo ergico sono tutte attività che permettono di liberare la persona da stratificazioni tensionali e di farle ri-conquistare la calma psicofisica, indispensabile premessa per una presa di coscienza del proprio corpo, per una ricerca del sé e per una nuova capacità di rapporto con gli altri. Poiché la dinamica affettiva è strettamente collegata con la dinamica corporea, attraverso l’elaborazione psichica delle informazioni fornite dalle esperienze sulla percezione globale del corpo e della sua unità, gli adulti possono ritrovare la possibilità di esprimersi e di comunicare con il proprio mondo e con quello circostante in una elaborazione tonico-emozionale positiva, accompagnata da effetti neuro e psicofisiologici, che li liberano da difficoltà organizzativo-funzionali e socio-affettive.
Un momento del laboratorio è stato dedicato all’ascolto di brani musicali con libere associazioni di ciò che può suscitare la percezione della musica, oppure alla drammatizzazione simbolica di situazioni raccontate dal gruppo, alla rielaborazione di alcuni episodi, che sono scelti dal vissuto quotidiano (la reazione di fronte ai capricci del figlio, all’aggressività in classe…). Gli eventi particolari sono stati drammatizzati attraverso il gioco simbolico con la tecnica dei Giochi di ruolo. Questa esperienza risulta è un valido mezzo per stimolare la personale intelligenza emotiva, per renderci capaci di discernere tra pensieri positivi e pensieri spiacevoli, per abituarci a vivere le diverse situazioni della vita e ad agire prima con il cuore e poi con la mente.
Recenti scoperte in neurobiologia dimostrano che agire nell’area visivo-spaziale stimola lo sviluppo di abilità relative ad altre aree del pensiero. Stimolando l’area dx del cervello ne risente tutto il cervello stesso: agire nell’area visivo-spaziale aiuta a migliorare tutte le funzioni cerebrali.
I sentimenti, le fantasie, le sensazioni, le emozioni sono depositate nella profondità del nostro Io, sottoforma di immagini. Come dice Rudolf Arnheim: “Le parole non hanno energia se non risvegliano una immagine”.
Ogni persona ha la capacità di comunicare con espressioni grafiche il proprio mondo interiore, passando da una produzione mentale ad una produzione plastica: il disegno che nutre l’ancestrale bisogno dell’uomo di lasciare traccia di sé: testimonianza dell’Essere, del suo esistere, del suo qui, ora, in questo corpo. Il Pedagogista Clinico propone il disegno usando un linguaggio metaforico e ottiene così un dialogo spontaneo che nasce dall’interiorità della persona in modo naturale e libero. In questa attività grafico-pittorica compaiono gli elementi del sogno: il disegno rappresentato graficamente sul foglio ne è il contenuto manifesto e i simboli disegnati ne esprimono il contenuto latente.
Con forme e colori attraverso il segno, attraverso la rappresentazione grafica comunichiamo l’esperienza cinestesica, fisica, intellettuale, emozionale.
Il disegno perciò assume anche funzione catartica. Non occorre analizzarlo o capirlo, esso porta in sé un meccanismo di proiezione, di elaborazione e quindi di crescita.
Nel laboratorio è stato dedicato un tempo alla tecnica del Training Induttivo, che sollecita un effetto distensivo dato dalla postura (si sta distesi sul materassino) con l’obiettivo di aiutare la persona a riappropriarsi di una nuova lettura di sé, di una nuova consapevolezza del sé corporeo. Ciò le consente di abbattere le tensioni muscolari, indice di forte emotività, di ritrovare il piacere di stare bene con se stessa, di vivere di conseguenza un benessere psico-fisico. Questa fase può prevedere l’utilizzo di immaginazioni guidate di alto valore simbolico.
Il Pedagogista Clinico, a seguito di una analisi dei bisogni, si avvale del linguaggio metaforico in modo intenzionale attraverso la costruzione a priori di racconti in cui vengono evidenziati stati d’animo o emozioni, che difficilmente verrebbero in superficie. Nelle PictureFantasmagory sono contenuti importanti archetipi, che a seconda della società, della cultura, del momento storico possono cambiare forma (abito), ma non essenza. Il linguaggio degli archetipi è simbolico, spesso metaforico e svela quegli aspetti della vita, della realtà e dell’universo che non sono afferrabili dalla pura razionalità. Utilizzando una particolare struttura narrativa, la metafora, la persona recepisce il messaggio, a livello cognitivo, in senso letterale, mentre a livello inconscio ne percepisce il significato simbolico poiché il simbolo è il ponte tra il “conosciuto” e lo “sconosciuto”. Le PictureFantasmagory, contenenti i sollecitatori derivati dai simboli, vengono impiegate dopo l’utilizzo di una tecnica percettivo-corporea o distensiva che produce nel soggetto una capacità assorbente ad effetto “spugna”. La fantasmagoria diventa così un catalizzatore di intuizione ed uno strumento di cambiamento, di espansione e di crescita personale.
(in Rivista Pedagogia Clinica-Pedagogisti Clinici, Edizioni Scientifiche ISFAR Firenze, n. 20/2009)