Contributo di Giorgia Meloni, Ministro della Gioventù al V Congresso Nazionale su Bullismo, prevenzione e intervento, tenuto presso il Centro Congressi Frentani a Roma il 16 ottobre 2010, organizzato dall’ANPEC e dall’ISFAR.
Gentile Professor Guido Pesci,
La ringrazio del Suo cortese invito a partecipare al convegno Bullismo-Prevenzione e Intervento in programma il 16 ottobre a Roma. Gli impegni da tempo assunti mi impediscono, purtroppo, di risponderLe positivamente. Voglio comunque provare a dare il mio contributo al convegno attraverso alcune riflessioni sul tema espresse anche in altre circostanze. C’è chi confonde il bullismo con la leadership. Bullo o leader è una dicotomia come la distinzione che si fa tra violenza e forza: la linea di confine è la legalità, intesa soprattutto come liceità morale di un comportamento. Non a caso bullismo e violenza si legano perfettamente così come leadership e forza. Chi è il bullo? È colui che crede di essere un leader ed usa la violenza pensando di dimostrare forza. Vuole, sostanzialmente, assumere un’autorità riconosciuta che invece non gli appartiene. In alternativa egli è un sedicente ribelle che crede di essere “figo” e rispettato grazie ai soprusi commessi nei confronti di chi è più debole in quel momento. Il bullo è alla continua ricerca della legittimazione altrui, senza di essa è nullo, perde senso comportarsi in quel modo. Il pericolo, ovviamente, è che si accentuino le modalità e la gravità dei soprusi per raggiungere l’obiettivo. In conclusione il bullo è un giovane che si confronta con un deserto di valori devastante, all’interno e all’esterno da sé e sceglie di alimentare i comportamenti dettati dall’istinto fino a rendere la sua personalità criminogena.
Ritengo che il bullismo possa essere definito come violenza cerebrale, libertà senza obblighi e doveri, isolamento e noia ma, soprattutto, come un vuoto di ideali e mancanza di cultura. Proprio tale vuoto di ideali e di cultura rischia di creare un’emergenza educativa che non si affronta semplicemente con nuovi contenuti e nuove metodologie pur utili, né con il richiamo a valori astrattamente affermati. I valori, per essere condivisi e vissuti, devono essere convincenti per i ragazzi: riescono ad esserlo quando vengono testimoniati da coloro che propongono un senso positivo della vita.
Per prevenire il fenomeno del disagio e della devianza giovanile è necessario agire sin dai primi anni di vita, sin dalla scuola dell’infanzia e primaria, valorizzando modelli positivi e promuovendo esperienze educative che coinvolgano i giovani, tese a sviluppare una concezione di cittadinanza attiva fondata sul rispetto di sé e degli altri, sul concetto di bene comune, sulla solidarietà intesa come condivisione di idee, valori, diritti e doveri.
Oltre alle famiglie, che hanno un ruolo primario nella vigilanza e nella cura dell’aspetto educativo, rivestono una posizione molto delicata anche gli operatori dell’informazione: spesso i nuovi strumenti di comunicazione esaltano i singoli episodi negativi, trascurando quelli di segno opposto che sono la stragrande maggioranza. Ieri un atto di bullismo restava confinato all’interno della scuola o della città in cui si verificava, oggi, grazie ad un solo telefonino, può fare il giro del mondo in pochi secondi ed entrare dalla tv nelle case di tutti gli italiani.
Proprio la facilità con cui vengono diffusi esempi di devianza giovanile produce un atteggiamento di condanna ge neralizzato a tutti i giovani che porta con sé una serie di conseguenze molto negative. Innanzitutto, il cosiddetto effetto specchio, ovvero ci si vede non per quello che si è ma per quello che dicono gli altri di noi. È un primo effetto molto negativo perché a quel punto diventa meno traumatico superare la linea del bene, dal momento che ci si considera già al di là di essa. Il secondo effetto negativo è proprio l’emulazione del peggio, il fascino per il comportamento deviato.
“I giovani hanno più bisogno di esempi che di critiche”, amava sostenere il filosofo francese Joseph Joubert un paio di secoli or sono. Proprio per questo, è fondamentale far conoscere ai ragazzi la miriade di modelli positivi giovanili che quotidianamente danno lustro alla nostra comunità nazionale. C’è un mondo straordinario, quello del volontariato, dell’impegno sociale e politico, lì dove si trasformano ideali in mattoni che sembra quasi non avere diritto di cittadinanza nell’informazione nazionale: tutti esempi molto positivi che vengono colpevolmente ignorati dal sistema dell’informazione. Tali ragazzi rappresentano la nostra “meglio gioventù”. Ribelli, nel senso che sfidano la paura, l’ignavia, la desertificazione dei valori assoluti, e non chiedono altro che strumenti per poter trasformare la loro rabbia in energia positiva. Facciamo conoscere le loro esperienze e sono sicura che l’esempio di questi sarà utile agli altri ragazzi.
A tal proposito nel nostro sito istituzionale esiste proprio una sezione in cui viene raccontata la “meglio gioventù” italiana, alla cui realizzazione lavorano ragazzi impegnati nella ricerca di storie apparentemente piccole ma grandiose nella loro portata. Spesso si associa lo spirito di emulazione ad episodi negativi: vi assicuro che la stragrande maggioranza dei giovani è in grado di emulare modelli positivi, solo che questo fa molto meno rumore ed è “commercialmente” poco spendibile. Aiutiamo i nostri ragazzi a conoscere ciò che di fantastico fanno quotidianamente tantissimi loro coetanei, ed i bulli avranno sempre meno motivo di esistere.
Nel ringraziarLa ancora per l’invito, rivolgo a Lei, agli illustri relatori e all’Associazione Nazionale Pedagogisti Clinici il mio cordiale saluto e l’augurio di buon lavoro.