di Rossana Suglia
La maggior parte della corteccia cerebrale umana è filogeneticamente recente, per cui essa è denominata neocortex o neopallium. Viene anche chiamata isocortex (Vogt) e corteccia omogenetica (Brodman) per la sua embriogenesi e la sua morfologia uniforme. Queste ultime caratteristiche differenziano la neocortex dalla parte filogeneticamente più antica e meno uniforme, situata in gran parte nell’ippocampo e nella corteccia olfattoria, che viene chiamata allocortex o archipallium.
Benché sia noto che a determinate regioni cerebrali sono demandate specifiche attività percettive, motorie, mnestiche, o di altro tipo, la complessità anatomica e la natura dei meccanismi psicofisiologici di ciascuna regione iniziano solo ora ad essere compresi. Le integrazioni cortico-sottocorticali sono necessarie anche per l’organizzazione motoria; le connessioni tra le diverse aree cerebrali non sono solo necessarie all’espletamento di tutte le funzioni sensitivo-motorie naturali ma, la loro distruzione comporta la disinibizione di altre aree.
Da ciò si può dedurre che la suddivisione del cervello in lobi frontali, temporali, parietali, occipitali è un anacronismo illusorio e ha una validità funzionale limitata.
I traumi cranici sono molto frequenti anche nella nostra società e si osservano a seguito di incidenti stradali e non, come in certe particolari professioni esposte alle cadute da un luogo elevato (es. i muratori). Il cervello essendo una massa pesante (circa 1200 grammi) ma molle e fragile, riceve nel colpo delle forze violente di decelerazione lineare e rotatoria. La massa encefalica assai mal ancorata alle pareti ossee può spostarsi all’interno della scatola cranica secondo il modello classico del colpo e contraccolpo. Esso è particolarmente esposto a livello dei poli temporali e frontali e a livello dell’ipotalamo contro la base del cranio e a livello dei peduncoli cerebrali, particolarmente fragili a causa della loro gracilità e vulnerabilità . La gravità dipende sia dalla sede della lesione (gravi soprattutto quelle del tronco cerebrale) sia dal volume di tessuto cerebrale distrutto. Ugualmente la prognosi funzionale è strettamente legata alla qualità dell’estensione delle zone contuse. Tra le conseguenze immediate del trauma cranico alcune complicanze possono sopravvivere e condurre a morte ritardata di qualche ora o di qualche giorno.
Sono stata contattata dal responsabile fisiatra di una nota Azienda Ospedaliera lombarda e dall’équipe della divisione di Neurologia dello stesso Presidio per un intervento pedagogico clinico ad un gruppo di cinque utenti giovani in esiti di trauma cranio-encefalico. Il problema comune a questi ragazzi consisteva nel rifiuto di qualsiasi trattamento fisioterapico, idroterapico e riabilitativo, perché i tempi di recupero sono troppo lunghi e la loro immagine corporea, penalizzata dalla scarsa funzionalità, è quella di un “corpo dimezzato”.
I soggetti che hanno subito traumi cranio-encefalici, con serie compromissioni a livello motorio, sensoriale e cognitivo, presentano durante la fase riabilitativa atteggiamenti di rifiuto del proprio corpo, specie considerando solo l’emisoma (nel caso di lesioni che compromettono il funzionamento di una metà del corpo) funzionante.
L’intervento pedagogico clinico, in questi specifici casi, vuole rivolgersi proprio a quella parte “lesa” per ricostruire il tutto corporeo che corrisponde alla globalità della persona. Il vissuto ottenuto dal metodo Body work® mette in gioco degli effetti frontiera tra il rilassato e il non rilassato, in una relazione dialettica che si instaura tra corpo agito e risultati dell’azione. L’esperienza del funzionamento dell’area propriocettiva che la caratterizza è fonte di scoperta (o riscoperta) di piacere: essa può essere riparazione o restaurazione di un non funzionamento per deficit o inibizione. E’ nel passaggio di tale funzionamento che si colloca la dinamica strutturante (che realizza forma e limiti del funzionamento, organizza spazio e tempo attraverso l’immagine rappresentante) e la dinamica relazionale (dove i processi identificatori si attuano a immagine del corpo dell’altro nell’azione, creando un’imitazione motoria che è implicata nello spazio). Gli effetti di questa particolare forma di contatto si riverberano anche a livello vascolare e nella sedazione dell’ipertonia.
Lidia e Massimo:”non sono più io!”
Lidia, splendida ragazza di ventitre anni,in seguito ad un incidente col motorino riporta lesioni frontali destre caratterizzate da emiplegia sinistra, lieve innalzamento del tono dell’umore, aumentata loquacità, tendenza allo scherzo (witzelsucht o moria), perdita di tatto e delicatezza nelle relazioni personali, difficoltà di adattamento, perdita d’iniziativa. Diplomata in ragioneria, curava la contabilità della ditta paterna ed era fidanzata con B., commercialista di una città lombarda. Dopo l’evento traumatico e la perdita sia delle capacità lavorative che del fidanzato, rifiuta ogni forma di collaborazione verso un’ottica riabilitativa. Manifesta un’inerzia nel pensiero, nel linguaggio e nell’azione senza peraltro lamentarsene. Tollera qualsiasi condizione in cui viene posta, ma ad ogni minima contraddizione, si comporta irrazionalmente dando l’impressione di non essere in grado di valutare le conseguenze e le rimostranze. Una volta iniziato un certo compito Lidia continua a compierlo, perché “incapace di ricordare gli eventi nel loro ordine sequenziale” (Furster Raymond D. Adams, Maurice Victor, Allan H. Ropper, Principi di neurologia, McGraw-Hill Libri Italia srl, 1997) e di integrare nuovi eventi e informazioni a quelli appresi precedentemente.
I genitori riscontrano alterazioni della personalità e del comportamento, difficilmente rilevabili dai test psicologici. Non è facile trovare un unico termine valido per tutte queste alterazioni; alcuni autori le indicano come perdita della forza dell’Io, ovvero diminuzione delle forze integrative e costruttive della personalità. Lidia, per disinibizione, ha ripreso il riflesso della suzione e prensione (afferramento), manifesta anedonia, apatia, perdita dell’autocontrollo, euforia, comportamento sociale disinibito. La distraibilità e l’incostanza in tutti i compiti assegnati e, a volte, la perseverazione sono i tratti più caratteristici di Lidia che Luria descriveva come “perdita del tono corticale”.
A questo quadro si aggiungono i deficit motori con emiplegia controlaterale, perdita del controllo sfinterico sia alla minzione che defecazione (Lidia arrossisce e si arrabbia con gli altri tutte le volte che capita di trovarsi improvvisamente bagnata o imbrattata di feci), il linguaggio presenta oltre all’afasia di Broca, diversi altri disturbi: eloquio ridotto, telegrafico (agrammatismo), con mancanza di spontaneità, perdita della fluenza verbale, voce sussurrata, disartria.
Non cura, né vuole che qualcuno si prenda cura del suo corpo e, a volte aggredisce chiunque le si avvicini mentre altre volte è del tutto indifferente e assume atteggiamenti seduttivi, irriverenti.
Massimo, vent’anni, ex muratore, viene investito da un’auto mentre attraversava la strada. Il trauma cranico riporta lesioni prefrontali con perdita della capacità di mantenere l’attenzione e di risolvere compiti complessi, rigidità del pensiero, impoverimento affettivo, inattitudine, labilità emotiva e diverse combinazioni, come Lidia, di riflessi di prensione e suzione, alterazioni alla deambulazione, incontinenza sfinterica e mutacismo acinetico (in questa condizione il soggetto, benché non sia paralizzato e risulti vigile e in grado di muoversi e parlare, se ne sta totalmente immobile e muto per giorni o settimane. La situazione opposta si verifica nella sindrome iperattiva “organic drivenness” descritta da von Economo in bambini sopravvissuti ad un attacco di encefalite letargica). Benché dal punto di vista motorio la paralisi sia lieve, essa si caratterizza da maggior spasticità, oltre alla comparsa dei riflessi di suzione e prensione già descritti (tropismi o automatismi).
L’attenzione al suo corpo e le cure di sé, per quanto disordinate e mai portate a termine erano evidenti sia nella scelta dell’abbigliamento che nell’eccessiva profumazione.
Alessandro e Giuliano: ”il corpo non lo sento, ma ce l’ ho ancora?”
Alessandro, 26 anni, in seguito ad incidente stradale si procura una lesione del lobo parietale anteriore destro. Presenta emiparesi lieve, ipotonia, povertà nei movimenti, inattenzione visiva con difficoltà a sollevare le palpebre mentre conversa. Durante i colloqui che Alessandro ha con chiunque, dà l’impressione di essere sonnolento o soporoso: ma è un’impressione errata, dimostrata dal fatto che risponde prontamente se le domande sono formulate a bassa voce.
Gli effetti sulla sensibilità discriminativa da lesione parietale portano ad Alessandro una diminuzione del senso di posizione, della percezione del movimento passivo, della capacità di localizzare gli stimoli tattili, termici e dolorifici applicati sulla superficie corporea, di distinguere gli oggetti dalle loro dimensioni, forma e struttura (astereognosi) e di identificare la direzione del movimento di uno stimolo tattile. Rimane relativamente intatta la percezione degli stimoli dolorifici, tattili, pressori, vibratori e termici.
L’idea che le informazioni tattili e visive vengano utilizzate, durante l’età evolutiva, per costituire lo schema corporeo era stata formulata da Pick, anche se già da molto tempo si riteneva che questo tipo di informazione fosse alla base dello sviluppo della conoscenza di noi stessi come persone (I filosofi avevano ipotizzato che questo fosse il risultato di una costante azione reciproca tra la percezione di noi stessi e quella del mondo circostante).
Si ritiene che lo schema corporeo si formi grazie al costante afflusso e immagazzinamento di sensazioni provenienti dal nostro corpo quando ci si muove, per cui l’attività motoria è molto importante per il suo sviluppo. E’ necessario, altresì, che vi sia un normale senso dello spazio, il quale dipende dagli impulsi visivi e labirintici.
Questa premessa per raccontare come Alessandro alla richiesta di alzare il braccio paralizzato alza quello sano e quando gli si chiede se ha mosso il braccio leso risponde di sì: facendoglielo notare ammette che quel braccio é leggermente debole. La parte sinistra (quella lesa) del corpo per lui non esiste più: l’arto è di qualcun altro o non appartiene a lui. Questa anomalia si chiama anosognosia (Sindrome di Anton Babinski o asomatognosia unilaterale), e si accompagna a ridotta emotività: disattenzione, apatia, confusione generale.
Egli manifesta totale indifferenza per gli insuccessi, allucinazioni di movimento e allochiria. Durante la cura di sé non riusciva radersi una metà del volto, a indossare un abito se una manica era rovesciata all’interno.
I disturbi della percezione dello spazio, tipici delle lesioni dei lobi parietali non dominanti, si evidenziano nell’orientamento topografico (extrapersonale), nella memoria geografica, nell’incapacità di riprodurre delle figure geometriche.
Giuliano, 18 anni, incidente sul lavoro (cade da un’impalcatura), lesione lobo parietale emisfero sinistro. Manifesta disturbi del linguaggio, agnosia tattile, aprassia ideomotoria e ideativa bilaterale (Soggetti con lesioni ai lobi parietali dominanti perdono, pur non avendo deficit sensitivi o motori, la capacità di eseguire particolari compiti motori che avevano appreso, sia su comando che per imitazione.E’ come se avessero dimenticato le sequenze motorie apprese). Egli confonde la destra con la sinistra del suo corpo, non riesce a denominare le diverse dita delle sue mani, presenta agrafia ed acalculia.
Giuliano è in grado di leggere e di capire il linguaggio orale, ma non riesce ad afferrare il significato delle frasi che contengono elementi relazionali (es. “la figlia della madre” rispetto a “la madre della figlia”). Il riconoscimento e la denominazione delle parti del corpo e la distinzione destra-sinistra, sopra-sotto sono concetti spaziali acquisiti, mediati dal linguaggio e che si alterano in seguito a lesioni del lobo parietale dominante.
Antonella: “ho perso il tempo!”
Questa giovane signorina di vent’anni a seguito di incidente con lo scooter, riporta fratture al lobo temporale: è spesso invasa da allucinazioni uditive e visive; alterazioni nella percezione del tempo; disturbi del linguaggio, memoria; emotività e comportamento.
Le allucinazioni visive, incluse quelle in cui Antonella vede se stessa (autoscopia), compaiono durante le crisi epilettiche e danno un’alterata percezione degli oggetti osservati che appaiono o troppo grossi (macropsia) o troppo piccoli (micropsia), vicini o lontani o irreali. Dal punto di vista acustico ella non riesce a discriminare l’uguaglianza dei suoni presentati ad entrambe le orecchie o nel percepire numeri o parole pronunciate velocemente alle due orecchie contemporaneamente. Le allucinazioni uditive possono essere elementari (rumori, soffi, mormorii, sirene, ecc.) o complesse (cori, temi musicali, voci). Generalmente i suoni e i temi musicali sono percepiti più chiaramente delle voci. Antonella riconosce le illusioni e le allucinazioni per quello che sono, cioè anormalità uditive. Dopo le crisi epilettiche Antonella, avendo perduto la cognizione del tempo, guarda ripetutamente l’orologio e, scherzando dice di avere “perso del tempo a ritrovare il tempo”.
La caratteristica principale del suo comportamento è la riduzione quantitativa di tutte le sue attività: di pensiero, di parole, di movimento. Questa riduzione dell’attività psicomotoria veniva segnalata dai familiari come un’alterazione della personalità. Antonella è cosciente, sveglia e si guarda intorno. L’abulia e l’apatia sono secondarie alla ridotta motivazione.
Questa breve rassegna sintomatologica, pur apparendo un po’ noiosa, diviene necessaria perché il Pedagogista Clinico® chiamato a questo impegno è tenuto a conoscere, tramite osservazione costante e documentazione clinica, le turbe comportamentali determinate da lesioni corticali. Spesso coloro che si occupano di riabilitazione, fanno fatica a riconoscere il sintomo da un segno di instabilità attentiva, oltraggio alle regole sociali, capricci, turbe caratteriali, ecc.
Dalla descrizione dei casi si può notare quanto il corpo non sia solo portatore di sintomi, ma luogo di espressione e comunicazione di affetti e di bisogni.
Tra gli obiettivi del mio intervento, formulati dopo acute osservazioni, scambi con l’équipe terapeutica e conoscenza dei soggetti, quello prioritario mirava a proporre esperienze di contatto corporeo che contribuissero alla conquista della nozione di unità corporea e di percezione dei segmenti corporei. Per mezzo del contatto si possono trasmettere i principali tipi di atteggiamenti interpersonali, anche gli stati emotivi. L’atto del toccare è completamente diverso da quello dell’essere toccato: infatti il tatto attivo è causato dalla propria attività motoria e rappresenta un’indagine esplorativa; il contatto passivo è la ricezione di segnali provenienti da un agente esterno, che è il terapeuta.
Un altro obiettivo era teso a favorire la conoscenza delle diverse parti del corpo grazie all’affinamento delle sensazioni propriocettive mediate dal contatto tra me e i singoli. Il principio sul quale si fonda tutto il mio intervento è la “corporeità”, come elemento unificante di tutte le possibilità espressive e come garanzia per il sollecito delle potenzialità comunicative sempre implicite in qualsiasi situazione esistenziale.
L’utilizzo di alcune tecniche a mediazione corporea, tra cui il Body work®, si esplicava nel contesto gruppo, in palestra fisioterapica dove, a turno ogni persona si lasciava “manipolare” dall’operatore. Durante l’attesa, gli altri erano invitati al controllo e al dominio dell’espirazione nasale ( fase del controllo respiratorio). Più che di un corpo agito preferisco parlare di “corpo sentito” e da far sentire, recuperando l’ascolto di sé e del mondo attraverso le reazioni interne, per una reale e globale percezione di sé (propriocezione).
L’uomo è l’unico che percepisce di percepire e diviene importante restituirgli ed attivargli la soddisfazione del percepire e compiacersi di sé. Possedere un corpo significa percepirlo, divenire sensibili ai messaggi che ci trasmette.
L’invito a porre attenzione, durante il setting, alla respirazione è molto importante, perché essa è l’espressione di ogni essere vivente nel rapporto che ha con l’esterno. Come già segnalato, esiste uno stretto collegamento tra tono muscolare e respirazione: arrivare a gestire il proprio respiro significa esserne consapevoli e la sensazione di sé porta alla consapevolezza dell’altro. La respirazione assume un forte potere coinvolgente: entriamo in simbiosi respiratoria con l’altro, spesso involontariamente, così come il tono muscolare è involontariamente soggetto a variazioni secondo le stimolazioni sensoriali.
Il lavoro in gruppo, attraverso un approccio corporeo, ha favorito nei ragazzi una sensazione di benessere vissuta nel qui e ora ( e non un qualcosa di promesso o proiettato in avanti) attraverso la percezione degli elementi corporei e gli aspetti relazionali.
Il clima distensivo ha permesso che l’attenzione fosse rivolta al proprio corpo e ai suoi messaggi, favorendo la calma interiore: in termini neurologici, permettendo la messa a riposo dei territori associativi. Le conseguenze immediate della diminuzione dell’influenza della tonicità sulle altre funzioni, facilita una maggior disponibilità.
Il sentire il proprio corpo nella sua unità, attraverso il contatto e l’ascolto delle sue funzioni, ha permesso a quei giovani la riscoperta di una parte di esso, spesso respinta, odiata, esclusa, come responsabile e capace di realizzare sensazioni, emozioni, e possibilità, anche motorie.
Le attività ben vissute, con il loro significato profondo, divengono strumento di realizzazione personale, che non dura solo al momento del setting, perché si ripercuote su tutti i livelli della persona, che si arricchisce di informazioni e di vissuti che non sono altro che la condizione di ogni sviluppo reale.
Questo lavoro ha permesso a Lidia, Massimo, Giuliano, Alessandro ed Antonella di proseguire i trattamenti fisioterapici, logopedici, riabilitativi conseguendo risultati ben visibili sia dal punto di vista motorio che relazionale.
(in Rivista Pedagogia Clinica-Pedagogisti Clinici, Edizioni Scientifiche ISFAR Firenze, n. 11/2005)