Il Pedagogista Clinico® nei servizi educativi

di Rosa Anna Impalà

 

La Pedagogia Clinica  e il movimento scientifico-professionale dei pedagogisti clinici ad essa collegato offrono un servizio all’opinione pubblica, alle forze sociali, alle istituzioni educative e ai decisori pubblici (locali e nazionali) sulle possibili risposte che  Pedagogia Clinica e pedagogisti clinici sono in grado di dare all’empirica realtà dei soggetti e delle situazioni  problematiche  poste dagli stati di necessità educativa e dalle richieste di aiuto educativo; risposte  improntate e fondate su un’attività di ricerca, analisi, progettazione e condivisione di elaborati strategici e sostenute da un unico obiettivo: “tutelare una personalità, ossia un insieme di caratteristiche, quali il temperamento, l’intelligenza, il carattere e il comportamento” (Pesci, 2005, p.26).

Si tratta  di un’azione, quella del Pedagogista Clinico®, basata su istanze progettuali e condizioni di fatto, poiché sono i dati empirici, il presente, la realtà, che  rappresentano determinazioni imprescindibili affinché l’intento di  incidere sulla riconquista di equilibri psico-emozionali, sul cambiamento personale e sullo stile socio-relazionale possa tradursi in operatività trasformativa. Ricerca, analisi, progettazione, condivisione e diffusione degli elaborati  rappresentano, nel loro insieme, il prodotto più caratterizzante dell’attività del movimento scientifico-professionale dei pedagogisti clinici e della Pedagogia Clinica, ovvero della scienza che, indirizzata ai bisogni educativi della persona di ogni età, si confronta “con la condizione dell’uomo esistente, che è l’uomo visto in quel quadro di riferimento, spazialmente e temporalmente determinato, che prende il nome di società” (Salomon, 2007, pp.7-8).

Sui singoli elaborati si forniscono dati e informazioni, si delineano proposte, si individuano questioni aperte, con particolare attenzione al confronto con le più efficaci e innovative esperienze internazionali. Infatti, anche attraverso l’Associazione Europea dei Pedagogisti clinici, ovvero la Federazione delle associazioni di pedagogisti clinici presenti in Europa, il movimento scientifico-professionale si impegna a svolgere un’attenta azione di monitoraggio sulle esperienze innovative di altri paesi. In particolare, il movimento italiano dei pedagogisti clinici e la Pedagogia Clinica si pongono come ponte per colmare il distacco che sussiste nel nostro Paese tra ricerca, opinione pubblica e pubblici decisori; distacco che penalizza anche l’aggiornamento e il miglioramento del nostro sistema educativo.

Un breve, ma necessario, passo indietro nel tempo:

Agli albori degli anni settanta si impose il credo delle cosiddette pedagogie sociali e/o speciali e,  a dispetto di chi le ha “ritenute capaci, nella migliore delle ipotesi, di applicare operativamente e settorialmente le deduzioni proposte dalla pedagogia teoretica” (Ivi, 2007) accreditati studiosi dei fatti educativi, nel fronteggiare anche le resistenze  delle altre scienze umane, determinarono “una continua sollecitazione a tradurre i principi generali in metodologie appropriate  a specifici e mirati interventi educativi“ (Ivi, 2007).  Se nei paesi d’oltralpe e anche d’oltre oceano spopolavano, com’è noto, gli effetti prodotti dagli studi di molti pedagogisti  sugli errori di fondo del pensiero pedagogico classico compiuti sia quando “ha scelto e sceglie” la pedagogia dell’essenza, sia quando “ha scelto e sceglie” la pedagogia dell’esistenza, sia quando cerca di unire questi due principi sulla base delle condizioni storiche e sociali esistenti (Suchodolski,1972, p. 117, in Salomon, op. cit., p. 8), nel Nostro Paese, relativamente a questo,  il 1974 è ben rappresentato dal peculiare e ambizioso  progetto di autorevoli personalità di raffinata cultura e diversificate sensibilità che, nel riconoscere il legame della pedagogia al sociale, prospettano una visione educativa propensa e incline a cogliere tutti gli aspetti del vivere sociale e le esigenze che da esso promanano; personalità autorevoli che hanno sentito il bisogno di confrontarsi e dialogare, decidendo, in prima battuta di sostituire il termine “ortopedagogista” con quello di “pedagogista clinico” e spianare la strada alla pedagogia clinica, ovvero al “sapere pratico”,  nel senso di un sapere che non si limita al momento critico-descrittivo della vita dell’uomo e della società, ma al sapere che sa anche orientare l’azione (Ivi, p. 9).

Questo ci dà una rappresentazione abbastanza asettica del particolare clima e dei frequenti dibattiti tra le personalità impegnate a dialogare nella sede del Cenacolo  Antiemarginazione di Firenze; dibattiti che vedono dal 1997, ovvero dalla costituzione dell’ANPEC (Associazione Nazionale Pedagogisti Clinici) il Pedagogista Clinico protagonista indiscusso e inoppugnabile e che si  nutrono dei suggerimenti e dei contributi di rappresentanti di Enti e Istituzioni Nazionali e Internazionali, ma soprattutto dei contributi culturali dei nomi più belli della pedagogia, anche di quella italiana, impegnata a rigettare il pensiero di chi valuta “la pedagogia alla stessa stregua di una sovrastruttura incapace di reale autonomia rispetto a quelle che sono le scelte politiche, le uniche in grado di determinare reale sviluppo sociale” (Salomon, p. 9). Ebbene, la pedagogia nel suo percorso di affrancamento dall’originale “approccio o esclusivamente critico (razionalità analitica) o meramente applicativo (che non consente di aprirsi alla generalizzazione)“ (Ivi, p. 9) può essere accomunata alla Pedagogia Clinica per una loro comune intrinseca aspirazione a strutturarsi come scienza con un proprio e specifico statuto epistemologico. A tal riguardo non è difficile constatare che anche la Pedagogia Clinica assume connotati di sistematicità e di scientificità proprio grazie all’ausilio di tutte quelle discipline che hanno per oggetto di analisi l’uomo nella prospettiva dell’educazione che si svolge in contesti formali, ma anche non-formali e informali. Lo studioso di Pedagogia Clinica, dunque, non si limita a descrivere, ma interpreta gli eventi educativi alla luce di tutti quegli aspetti che specificano la storia del soggetto-utente; in sintesi, la Pedagogia Clinica individua, come oggetto di analisi  e di intervento,  realtà educative  e bisogni formativi, legge con attenzione e interpreta le attese sociali,  convergendo sull’ambizioso progetto del successo formativo. “Ci si rende conto, pertanto, che risulta indispensabile analizzare contesti ed eventi in grado di rappresentare cornici di senso, obiettivi, scopi e fini, aspetti organizzativi e strutturali” (Ivi), metodi e tecniche specifiche per quelle realtà educative che reclamano l’intervento pedagogico-clinico. E ciò in funzione del fatto che l’educazione senza l’azione sociale è semplice conquista degli strumenti del sapere, come l’azione sociale senza educazione è semplice pressione dall’esterno: la sollecitazione al cambiamento senza la partecipazione di coloro che devono essere cambiati determina, come ci insegna Borghi (Borghi, 1974), soltanto un mutamento di facciata e non una reale trasformazione. “Qui mi pare di poter individuare il proprium di un agire educativo orientato essenzialmente a svolgere un’azione costruttiva dentro gli apparati e le istituzioni, affinché dal di dentro di essi si catalizzino e si potenzino quegli elementi e quei fattori che possono determinare promozione e sviluppo della personalità individuale e sociale. Si tratta di un approccio ai problemi dell’educazione capace di rompere, in termini di esaustività sia con il carattere fattuale, solo empirico e pragmatico del modello scientista, sia con la presunta preminenza del fattore filosofico, axiologico, teleologico, in virtù del richiamato principio di razionalità pratica. Si tratta, per un agire educativo efficace e funzionale alla ristrutturazione della personalità -fondamento del progresso sociale e dell’umano sforzo verso la civiltà e la libertà- di assumere in modo sincronico, nella progettazione degli interventi educativi, tre elementi, quali: l’anatomia della società civile, l’educazione, l’azione sociale” (Salomon, Op.Cit., p.10).

La specificità della ricerca pedagogico-clinica è proprio questa: l’analisi complessiva del processo educativo e non. Da qui l’esigenza di poter disporre di operatori capaci di favorire il progresso culturale, capaci di demitizzare le false illusioni, capaci di stabilire autentiche relazioni di aiuto alla persona, e ancora, capaci di prospettare situazioni esistenziali nuove nelle quali sia possibile sperimentare in prima persona valori decisivi come quello dell’impegno, della responsabilità, della partecipazione, della verifica delle scelte operate e delle prese di posizione assunte, della capacità di aprirsi al dialogo con l’altro, traendo dall’altro spunti e occasioni di crescita, del considerare il proprio orizzonte esistenziale  solo un orizzonte possibile (Passim, pp.10-14). Ed è sempre con le parole di Antonio Michelin Salomon che riferiamo come non a torto l’educazione viene assunta, nell’attuale dibattito pedagogico, sempre più come una scommessa  sul cui esito e sulla cui riuscita non si può che rimanere fortemente dubbiosi, e pur tuttavia la pedagogia deve “avventurarsi” e “compromettersi” nel mondo per “decifrare” meglio certi sensi, certi problemi e certe richieste del mondo, per affermare in quest’ultime la forza costruttiva e liberatrice della “legge” educativa e per promuovere più efficacemente la valorizzazione del mondo, elevandone la misura umana in tutta la ricchezza e la varietà delle sue espressioni.  Non è cosa di poco conto decodificare in senso pedagogico i fatti, i bisogni e le richieste di aiuto alla persona per dialettizzarli con le altre forze presenti e operanti nella società, specie quando la ricerca pedagogica si esprime e, nello stesso tempo, chiede conferme e suffragi nella ricerca operativa che – a dire di Santomauro (G. Santomauro, Brescia, 1967) – è costretta a svolgersi in un contesto situazionale di per sé molto lontano dall’essere una perfetta sintesi razionale. Questo vuol dire che la pedagogia, ci insegna G.M. Bertin (G.M.Bertin, 1953), e in particolare la pedagogia clinica, deve utilizzare la società in quelle forme e in aspetti reali che più direttamente incidono nel processo educativo, e cioè ambientare in essi razionalmente l’esperienza educativa, organizzandola in modo da realizzare la triangolazione teoria-prassi-teoria, che è caratteristica peculiare della procedura logica della pedagogia. Questo approccio richiama fortemente il paradigma della ricerca/azione che conferisce un giusto riconoscimento a tutti quegli Operatori della pedagogia che si impegnano con duttilità di azione e risolutezza di interventi. Operatori  spesso in condizioni di precarietà professionale, ma capaci di farsi carico dei principi di aiuto alla persona, “cura” e “relazione”, intorno ai quali si costruisce l’autentico agire educativo-trasformativo, pur nell’intreccio delle influenze che incalzano sull’uomo, lo plasmano e, come ha scritto nel 1981  il  prof. G. Catalfamo (G. Catalfamo, 1981, nn.1-2, p. 26), lo fanno essere quello che è ( Cfr. A. Michelin Salomon, Op. Cit., pp.12-14).

Dall’Associazione dei Pedagogisti Clinici veniamo informati del frequentissimo ricorso dei decisori locali di enti privati e pubblici all’opera e al lavoro dei pedagogisti clinici, ossia degli esperti che si collocano perfettamente all’interno della tematica congressuale che al lavoro e alle  tante esperienze del Pedagogista Clinico vuol dare risalto; una scelta tematica voluta dalla responsabile provinciale, l’amica Dott.ssa Lucia Sorrentino, alla quale esprimo la mia gratitudine per avermi dato la possibilità di partecipare a questo prestigioso incontro.

Importanti congressi scientifici nazionali e internazionali, dal 1998 ad oggi, hanno affrontato temi strategici che congiuntamente alle iniziative editoriali rappresentano il prodotto più caratterizzante dell’attività di questo Associazionismo. E’ possibile riassumere, in un profilo sintetico, le fasi caratterizzanti l’attività dell’Associazione nazionale:

sensibilizzare il pubblico e il mondo scientifico alla Pedagogia clinica e alla professione del Pedagogista Clinico;

coinvolgere le personalità del Forum sociale, scolastico e dei decisori pubblici attraverso congressi, conferenze, manifestazioni scientifiche, seminari di studio, giornate di formazione, per raccogliere il più largo consenso sulle tesi, al fine di conferire alle stesse il massimo di autorevolezza e capacità di influenza presso l’opinione pubblica e le istituzioni;

diffusione mirata (informare e coinvolgere), delle iniziative editoriali (libri, testi, riviste, periodici, bollettini), utilizzando anche come strumenti specifici le presentazioni pubbliche dei contenuti scientifici, tecnici e metodologici  con eventi sia nazionali che locali e loro diffusione. Particolare attenzione viene dedicata alla sensibilizzazione di organismi pubblici e privati,  locali, nazionali e internazionali, associazioni e movimenti europei e non, purché compatibili con i principi e gli scopi dell’Euro-ANPEC;

lobby trasparente al fine di diffondere dati e informazioni presso i decisori pubblici a livello nazionale e regionale, presso i parlamentari, le forze politiche e sociali, le istituzioni educative, nell’auspicio che le proposte dell’ANPEC influenzino le iniziative di governo e si trasformino in operatività non più a macchia di leopardo;

L’Associazione svolge, inoltre, verifiche sull’efficacia della propria attività, facendo riferimento ai contenuti di leggi e provvedimenti dei decisori pubblici, al numero e alla qualità delle sperimentazioni avviate dalle istituzioni educative, ai riconoscimenti che la comunità scientifica, politica e di settore riserva all’attività dell’Associazione, nonché all’attenzione che i media dedicano agli argomenti trattati.

Nell’incontro odierno daremo spazio quasi esclusivamente alle testimonianze del lavoro svolto dai pedagogisti clinici  nell’ambito della loro indefessa attività di studio e di ricerca e diremo del loro non essersi risparmiati nello spendere le migliori  energie nell’intenzione di garantire possibilità di plauso al loro profilo professionale, di verificarne la validità del percorso professionale da testimoniare anche con la creazione di una documentazione sia come memoria che come indicazione di metodo e di esperienza pedagogica. Uno spazio che ci permetterà  di cogliere come la presenza dei pedagogisti clinici nelle questioni di disagi relazionale e di difficoltà relazionale (in famiglia, nella scuola e nelle strutture pubbliche e private) sia il segno denotativo di una Pedagogia Clinica italiana ormai giunta a una matura consapevolezza della sua funzione pubblica: i pedagogisti clinici, oggi, sono pronti a far parte di quell’apparato “burocratico” che ne accresce la credibilità e l’immagine, poiché essi conferiscono alle situazioni di aiuto pedagogico  e agli stati di necessità educativa, una ufficialità che rende autorevolezza ai soggetti agenti e rappresentano pure la categoria di lavoratori capace di garantire la tutela di ogni singola personalità, anche nel clima più turbolento delle parti in causa (scuola-famiglia, scuola-società, docente-discente, docente-docente, genitori-figli, alunni tra loro, persona-persona), essi sono la giusta interfaccia a cui poter fare riferimento. Questa consapevolezza giova tanto alla Pedagogia Clinica, da sempre impegnata a non farsi fagocitare dalle altre scienze umane, quanto alla scuola e alla politica scolastica, le cui difficoltà sono a tutti note. Con questo incontro odierno miriamo ad arricchirci dell’esperienza dei pedagogisti clinici che da  tempo  praticano la professione e affrontano i temi propri della lotta al disagio, alle difficoltà relazionali, alle disabilità, agli handicap, all’integrazione culturale, ma soprattutto ad  allargare la base di consenso della politica scolastica, di quella politica che oggi investe la scuola di particolare autorità. Non mancano di certo le testimonianze che hanno sollecitato lo sviluppo di un sistema nazionale di presenza dei pedagogisti clinici nelle istituzioni sociali e nella scuola, come condizione imprescindibile per una società giusta ed equa nelle offerte formative, ma abbiamo piena consapevolezza che in Italia purtroppo non c’è ancora una diffusa “cultura dei risultati” e delle buone prassi, cioè manca la bussola che aiuta a governare il sistema. In quest’ottica, il ricorso ai pedagogisti clinici, quali garanti di una verace interfaccia testimonia l’avvio della Pedagogia Clinica sulla strada della sua necessaria collocazione al centro della vita pubblica delle istituzioni scolastiche, all’interno delle quali assumere prerogative di interesse istituzionale.

Anche attraverso i pedagogisti clinici passa dunque l’annunzio delle scienze della formazione e non deve meravigliare se oggi rivolgiamo le nostre attenzioni al lavoro dei pedagogisti clinici come garanzia che dà dignità di ufficialità agli Interventi come… e agli Interventi per…, in analogia a quanto avviene in altre sedi, ovvero in sedi diverse dalla scuola, ma diverse anche per dislocazione geografica sul nostro territorio nazionale, appunto, a macchia di leopardo, come dicevo prima.

 

Interventi come….

Pedagogista Clinico come Libero professionista. Una delle prime testimonianze internazionali ci viene fornita da Claudio Rao, (Pesci e Mani, Il Pedagogista Clinico nelle Istituzioni, Magi, Roma 2007, pp. 19-23) presidente del Consiglio Direttivo dell’Associazione Nazionale Pédagogues Cliniciens (ANPC) del Belgio (Ass. costituita a Bruxelles nel 2002), che ha realizzato un significativo intervento come libero professionista in un reparto di pedopsichiatria nella clinica Saint Jean di Bruxelles, ovviamente con un progetto di intervento pedagogico clinico elaborato dall’ANPC e approvato dal Consiglio di amministrazione della clinica.  La clinica fornisce un servizio di psicopatologia e il reparto di pedopsichiatria che ospita soggetti di 5-12 anni è condotto da un’equipe multidisciplinare composta da pedopsichiatri, psicologi, infermieri specializzati in salute mentale, educatori e animatori specializzati in attività diverse e specifiche, quali: piscina, teatro, equitazione, arti plastiche. Ovviamente l’intervento del Pedagogista Clinico come libero professionista è stato reso possibile dall’apertura dell’Unità di pedopsichiatria ai contributi esterni,  nell’ottica della condivisione delle esperienze tra i membri dell’équipe e i professionisti esterni.

Pedagogista Clinico come Supervisore dell’équipe pluri e multidisciplinare di assistenza al bambino malato, ovvero come professionista del coordinamento delle risorse umane operanti nei centri di ospitalità del bambino malato. Una esperienza testimoniata da Luisa Susanna Viviani Maggi di Genova (Ivi, pp. 24-32). L’intervento del Pedagogista Clinico, in questo specifico caso è stato su due fronti: un’azione educativa-formativa sulla singola persona, in un’ottica di evoluzione emotiva, relazionale e sociale; un’azione rivolta all’intera organizzazione del Centro di Ospitalità e di assistenza dei piccoli pazienti dell’ospedale pediatrico Gaslini di Genova. In questo caso, l’intervento del Pedagogista Clinico è mirato allo sviluppo e all’ottimizzazione delle risorse umane, alla motivazione, alla condivisione, alla sensibilità umana, alla lettura delle emozioni, alla gestione dei conflitti, alla crescita personale e sociale e, come testimonia  Viviani Maggi, alla vita stessa del Centro di ospitalità, in un momento preciso della sua storia, quello di qualificare il suo operato come luogo di accoglienza e di cura affettivo-relazionale del bambino malato e della sua famiglia, secondo i criteri di una relazionalità aperta ed empatica, fatta di identità, di conoscenza, di rispetto, di dialogo, di interazione e di cooperazione.

Si è trattato per il Pedagogista Clinico, come l’autrice dell’esperienza ci riferisce (ed è possibile leggere nel libro del prof. G. Pesci), di organizzare una formazione pedagogico-clinica per adulti a livelli complementari e pur diversi di intervento.

Per gli operatori del Centro è stato creato dal Pedagogista Clinico  uno Sportello di ascolto; è stato organizzato un Corso di aggiornamento su deontologia, obiettivi e acquisizione del ruolo; sono stati programmati Incontri periodici di gruppo come luoghi in cui scambiarsi i vissuti, confrontarsi e comunicarsi l’esperienza interiore (di tutto ciò si possono, se si vuole, avere degli approfondimenti ricorrendo al testo di cui prima)

Pedagogista Clinico come Formatore del personale insegnante delle scuole dell’infanzia, (Ivi, pp.51-55) per un valore aggiunto alla preparazione culturale di base: acquisire competenza nel saper leggere qualsiasi manifestazione di ansia e di insicurezza, ogni segnale di richiesta di aiuto, conoscere ogni bisogno, così come le cause di ogni protesta espressa nei diversi momenti di attività ludica e ludiforme, ma anche di lavoro di micro-gruppo nel più vasto gruppo-classe. Da diversi anni, il Pedagogista clinico è presente nei percorsi di formazione del personale insegnante delle scuole dell’infanzia del comune di Firenze, come testimoniano Guido Pesci e Marta Mani.

Pedagogista Clinico come Consulente per gli studi legali (Ivi,pp.56-58) nelle cause di divorzio, come mediatore nella conflittualità comunicativa tra le parti in causa, ma anche per interventi sul contesto educativo-formativo dei minori che, in seguito alla separazione dei genitori, vivono disagi psico-emozionali.

Pedagogista Clinico come Giudice onorario (Ivi, pp.79-82) presso il tribunale dei minori. Il Pedagogista Clinico partecipa ai Collegi civili e penali del tribunale e collabora con il magistrato per l’attuazione degli interventi educativi più idonei, dopo l’ascolto mirato del minore, dei suoi familiari e degli operatori dei Servizi Territoriali.

Pedagogista Clinico come Direttore educativo presso le Cooperative e le organizzazioni aziendali, (Ivi, pp. 87-95) per le quali il terreno delle abilità sociali, interpersonali e personali è di fondamentale importanza, infatti queste vanno viste in tutte le declinazioni della relazione, tenuto conto delle specificità degli altri professionisti, dirigenti e consulenti.

 

Interventi per…

Interventi per La persona anziana (ospite della Casa di Riposo o degli Istituti per anziani, e non). (Ivi, pp. 33-37)   Premesso che per il Pedagogista Clinico la condizione essenziale di ogni esperienza educativa è conoscere la persona a cui l’aiuto è rivolto, anche in questo specifico ambito di intervento è necessaria un’attenta analisi dei bisogni e delle caratteristiche dei soggetti destinatari del nostro intervento. Il colloquio anamnestico, nelle preziose specificazioni di Antonio Viviani e Carmen Torrisi di Grosseto, rappresenta un’eccellente opportunità di esplorazione per prevedere e provvedere alle richieste d’aiuto. Esaustive delineazioni d’intervento, metodo e tecniche sono delineate nel volume di Guido Pesci, di cui prima.

Interventi per La famiglia e la maternità nei consultori pubblici e privati (L.405/75). (Ivi, pp. 38-41)  In queste istituzioni sono previsti oggi interventi psico-sociali e pedagogici votati a superare la tradizionale ottica meramente sanitaria, insufficiente– sicuramente da sempre, ma subita e inconsapevolmente accettata – a fornire risposte idonee alla complessità delle problematiche psicologiche, relazionali ed esistenziali della persona, quali possono essere, per esempio le problematiche nei rapporti di coppia, nei rapporti genitori-figli, figli-genitori anziani, regolazione delle nascite, adozioni e affidi. Le politiche sociali sono oggi consapevoli che  impegnarsi in attività esclusivamente riparatrici delle patologie già esplose non sia sufficiente, e che i servizi di sostegno alla persona debbano essenzialmente promuovere un benessere generale, per il quale sono da considerarsi  prioritarie  le  relazioni significative e soddisfacenti tra le persone. Non sono più il singolo o la famiglia con gravi problematiche a dover essere sostenuti: oggi, nella società del terzo millennio, ovvero della conoscenza e della globalità, urge creare un corridoio di differenziazione nelle risposte  che la società civile è chiamata a dare alle richieste di coloro che esprimono il bisogno  di ridurre le situazioni di disagio, temendo che queste possano diventare conflitti.

A giudicare da tutta l’organizzazione dell’officium di formazione, non è irrazionale esprimere  l’importanza del lavoro produttivo dei pedagogisti clnici, poiché si configura socialmente idoneo a dare impiego e visibilità a colui che lo esercita, ma soprattutto ai fini dell’importanza del prodotto, di certo migliorativo per la singola persona – fanciullo, giovane o adulto che sia – , ma anche per una società civile che, pur nella complessità, non smarrisce la consapevolezza del valore di un lavoro che si compie per ripristinare gli equilibri pro-sociali ed emotivo-relazionali dei cittadini.

Auspico che la giornata di oggi possa rivelarsi molto fruttuosa e che la presenza dei pedagogisti clinici nelle istituzioni sociali venga saggiamente affrontata da una politica motivata a che il nostro Paese  recuperi, anche su questo versante, la distanza che lo separa da quelli più attenti e sensibili al benessere dei cittadini.

(in Rivista Pedagogia Clinica-Pedagogisti Clinici, Edizioni Scientifiche ISFAR Firenze, n. 22/2010)