di Walter Siragusa, Donatella Olla
Negli ultimi vent’anni abbiamo assistito ad una rapida e profonda modificazione sociale non solo dal punto di vista politico ed economico ma anche per quanto riguarda le modalità di comunicazione e le modalità dei rapporti tra le varie componenti della società.
In particolare tra i tradizionali canali di comunicazione quali i mass-media (giornali, Tv, radio etc.) si è prepotentemente inserita la comunicazione in rete dei social network e altrettanto profondamente si è modificata la modalità e la struttura dei rap- porti tra i cittadini e le istituzioni, tra le istituzioni fra loro e tra le classi generazionali.
Tutto ciò ha portato di concerto ad un contemporaneo profondo rinnovamento concettuale ed alla progressiva valorizzazione di una impostazione “costruttivistica” nella soluzione dei problemi basata sulla valutazione delle pluralità delle posizioni e sulla ricerca di un apporto pluralistico degli esperti delle singole aree, in luogo di una impostazione basata sul sistema “auto poietico” ed “auto-referenziale” per singole aree.
Si è conseguentemente valorizzato l’indirizzo di affrontare i problemi non più attraverso un’ottica settoriale ma attraverso la presa in carico della “complessità” sia nella fase della predisposizione che nella fase di emanazione di provvedimenti.
In altre parole ciò che a cui sembra tendersi è il conseguimento di modalità e procedure capaci di portare alla efficienza ed alla efficacia globale.
L’affermazione di questa concezione “olistica” così cara a noi pedagogisti clinici è stata parimenti intesa nel senso più ampio dando spazio anche alle differenze culturali e del retaggio storico e delle singole territorialità.
Da qui non desta meraviglia che la Sardegna e la Sicilia proprio per le loro radici storiche, legate a contatti multiculturali e multietnici con i popoli mediterranei si siano ritrovate non solo in una sintonia di pensiero e di espressione di vari comportamenti e programmi ma anche in un comune desiderio di proiezione e di riallaccio di rapporti con la penisola e gli altri stati del mediterraneo.
Come rappresentanti di queste due isole ci siamo spesso confrontati sui temi organizzativi e operativi della nostra professione e abbiamo pensato di portare all’attenzione di questo convegno le risultanze di tale impegno.
I molteplici interventi portati avanti sin ora sono stati orientati a far sì che ogni programma, ogni progetto o intervento fosse di supporto-aiuto per ogni persona, permettendole di essere autonomamente in grado di conoscere e/o riconoscere al fine di appropriarsi e/o ri-appropriarsi di tutte quelle potenzialità e di tutte quelle risorse che ognuno possiede.
Illustrare tutti gli interventi risulterebbe un lavoro molto corposo, in quanto gli ambiti di analisi e di operatività sono stati numerosi e realizzati sia a livello individuali che in qualità di rappresentanti della categoria ognuno nella propria –regione isola.
Sono stati scelti tre argomenti che meglio esprimono e pongono l’accento sul lavoro di gestione e di coordinamento, basato sulla “relazione” come opportunità propositiva.
Ciò che ci è sembrato di grande interesse oltre al considerare l’importanza del valore dei progetti, e per altro già condivisi a livello nazionale ed internazionale, è il fatto che noi nella veste di direttori regionali ANPEC siamo stati invitati a partecipare e a contribuire a programmi di larga portata da tradurre poi in progetti applicativi, promossi e condotti dalle Istituzioni locali.
Abbiamo voluto far risaltare anche questa espressione del ruolo del Pedagogista Clinico, passando dal campo di attività a livello individuale o di piccoli gruppi, al campo più ampio della programmazione che esamina in maniera complessiva sia la bontà degli scopi sia la congruità delle modalità messe in atto, sia la efficacia dei risultati e sia la valutazione su vasta scala delle conseguenze legate all’applicazione del programma.
Il Pedagogista Clinico® apprezzato come dicevo già a livello individuale è stato ulteriormente riconosciuto come professionista esperto nella gestione dei gruppi e nei lavori multidisciplinari in rete con le Istituzioni.
Ci siamo sentiti di condividere e perorare il processo di costruzione di una “Città amica delle bambine e dei bambini” sposando gli intenti della “Convenzione sui diritti dell’infanzia” in un contesto di governo locale, esplicitabili in Nove passi:
- La partecipazione delle bambine e dei bambini
- Un quadro legislativo amico delle bambine e dei bambini
- Una Strategia per i diritti dell’infanzia in città
- Un’unità di intervento o un meccanismo di coordinamento per i diritti dell’infanzia
- Una valutazione e un’analisi dell’impatto sull’infanzia
- Un bilancio dedicato all’infanzia
- Un regolare Rapporto sulla condizione dell’infanzia in città
- La diffusione di una conoscenza sui diritti dell’infanzia
- Un’istituzione indipendente per l’infanzia Da qui la proposta dei nostri progetti quali:
– A Peis
– Consiglio Comunale dei Ragazzi
– Il Pedagogista Clinico® nelle società di calcio
Nel progetto A PEIS
I bambini hanno bisogno di una città che li riconosca, che li rispetti come cittadini (non come minori o futuri cittadini), che li accolga, che permetta loro di muoversi e vivere non solo in recintati spazi verdi, ma anche strade, piazze, cortili.
Lo spirito di questo progetto è proprio quello di venire incontro alle esigenze dei bambini-adolescenti-giovani e alle famiglie che si sentono costrette ad accompagnare i figli a scuola per le più svariate ragioni (senso di insicurezza nel lasciare i figli da soli per strada, fretta, spostamenti accessori, uso dell’au- to per altre necessità ecc. ), partendo dall’idea di accompagnare i bambini a scuola a piedi invece che in auto; tale piccola azione quotidiana darà un segnale importante al senso di partecipazione attiva ed educazione collettiva sui temi della salute e dell’ambiente, secondo quanto previsto dall’orientamento di esaltare le città come “Città Sane” dell’ordine mondiale della sanità e, può servire oltre ad uno stimolo per l’amministrazione, la quale attraverso un mix coordinato di azioni e piani, in ambito sociale, urbani- stico e ambientale (dalla telesorveglianza alla realizzazione di percorsi ciclopedonali, aree verdi, , ecc.) possono restituire la città ai ragazzi.
Il progetto denominato “A Peis”, traduzione letterale “a piedi” in lingua sarda nasce dall’esigenza di riuscire a riappropriarci dell’ambiente, conoscere e saper gestire il nostro territorio, conoscere e approcciarci ad una buona educazione stradale, ma soprattutto vivere la città nel modo più sano possibile po- nendo “il mondo bambino” al centro del nostro interesse.
Cagliari, come Catania, si pone come città promotrice e valorizzazione della città dei bambini, nel rispetto delle loro capacità, potenzialità, bisogni ed esigenze.
Le principali agenzie educative: quali la famiglia o chi si prende cura della persona minore di anni 18 e l’Istituzione scolastica in sinergia si adoperano per offrire a tutti i giovani le basi, oltre che affettive, quelle del sapere, del saper essere per saper fare.
Questo progetto vuole porsi come una piccola azione quotidiana, diventare un segnale positivo per la partecipazione attiva e l’educazione sui temi: della cittadinanza, della sicurezza, dell’ambiente, della salute.
Come funziona?
“A Peis” è formato da gruppi di bambini che, in forma di convogli ed accompagnati da uno o più adulti volontari, si recano insieme a scuola percorrendo itinerari sicuri lungo i quali vi sono capolinea, fermate intermedie, punti di raccolta, punti di incrocio tra convogli con scambio passeggeri, qualora se ne presentasse l’esigenza, ed infine l’arrivo a scuola.
Il capolinea e le fermate intermedie sono stabilite, per quanto possibile, nelle vicinanze di parcheggi per permettere ai genitori di lasciare in sosta la propria auto ed affidare i propri figli ai conduttori dei convogli o ad adulti responsabili dei punti di raccolta, senza intrappolarsi nell’ingorgo quotidiano che si crea nei pressi della scuola.
Ogni percorso è stato progettato tenendo in considerazione gli alunni con l’ottica della sicurezza e del piacere di percorrerlo in compagnia
Tutte le mattine i bambini sono accompagnati da genitori, nonni, o adulti delegati, ad una delle fermate da dove, presi in consegna dai conduttori del convoglio, partono e raggiungono la scuola in perfetto orario.
I percorsi sono progettati in modo che la percorrenza massima non duri più di 20 minuti. Le partenze dei convogli dai vari capolinea avvengono quindi prima delle ore 8:10. I conduttori del convoglio che garantiscono i tempi di viaggio e la sicurezza del trasporto, tengono traccia dei flussi di trasporto, nominativi dei bambini, loro fermate di salita, consegna dei bambini all’interno della scuola.
Il servizio A Peis prevede la presenza di un capo piazzale che all’uscita da scuola prende in consegna i bambini dai singoli docenti e li smista verso i diversi convogli.
Tutti i bambini sono dotati di un badge di riconoscimento dove vengono riportati i gradi di libertà applicabili nella loro riconsegna (al genitore, a un delegato, può tornare a casa da solo), il convoglio di appartenenza, i riferimenti telefonici del loro genitore o di un adulto responsabile.
Perché partecipare al progetto “A Peis”?
–Incentivare il diritto dei bambini a muoversi autonomamente nel proprio ambiente e per i propri spostamenti quotidiani;
–Risvegliare nei bambini la voglia di camminare per un salutare esercizio psico-fisico fin dal primo mattino;
–Favorire la socializzazione tra coetanei;
–Favorire la maturazione del senso di autostima e di responsabilità;
–Sviluppare le capacità di orientarsi ed aumentare l’attenzione per evitare i rischi che il pedone incontra sulla strada;
–Attenuare nei genitori la possibile paura e preoccupazione per la sicurezza dei propri figli;
–Favorire gli scambi di esperienza tra genitori che si trovano a collaborare tra loro nel coordinamento delle azioni di vigilanza;
–Contribuire alla riduzione dell’inquinamento atmosferico ed acustico con azioni concrete che promuovono una mobilità sostenibile nel proprio Comune.
Finalità
–Pensare – progettare – vivere la città – con i bambini, favorendo le loro esigenze di autonomia e sicurezza;
–Osservare il proprio paese e gli spazi che vanno condivisi;
–Favorire atteggiamenti collaborativi, responsabili rispettosi del “bene comune”;
–Conoscere e praticare i percorsi sicuri casa-scuola progettati in collaborazione con gli alunni;
–Sviluppare atteggiamenti corretti e di dialogo fra ragazzi, adulti ed Istituzioni;
–Sensibilizzare le famiglie e la cittadinanza verso i temi della Mobilità Sostenibile.
Il percorso può prevedere anche l’attivazione, all’interno della scuola, di laboratori didattici finalizzati a rendere i bambini consapevoli e protagonisti dei cambiamenti nelle abitudini di spostamento da casa a scuola.
Il riconoscimento del valore educativo e formativo dei percorsi casa-scuola, utili non solo per ridurre il traffico e risparmiare anidride carbonica (CO2) ma anche a favorire il movimento fisico e l’apprendi- mento, promuovono l’aiuto tra pari e responsabilizzano i bambini più grandi nei confronti dei piccoli.
Educazione al movimento significa quindi educazione all’ambiente e al territorio.
Le mappe mentali mostrano che i bambini abituati all’automobile ignorano in parte o totalmente indicatori stradali, incroci, angoli stradali; né riconoscono odori o sanno evitare luoghi pericolosi.
Le conseguenze sono l’insicurezza e la paura di muoversi nell’ambiente circostante o nella città che rendono il loro comportamento nel traffico piuttosto impacciato.
Quindi i punti su cui si sviluppa tale progetto sono:
–Sapere ed agire;
–Educazione alla mobilità quale disciplina trasversale, ampia ed essenziale;
–Formazione degli insegnanti – competenze degli insegnanti per l’educazione alla mobilità fondata sul concetto di “learning by doing”;
–Educazione alla mobilità come “educazione alla convivenza civile” e alla cittadinanza attiva.
Il Progetto CCR
Consiglio Comunale dei Ragazzi si presenta come un progetto di educazione alla vita pubblica e alla politica ed è finalizzato a promuovere la partecipazione dei bambini e dei preadolescenti alla vita della comunità locale.
Il “Consiglio Comunale dei Ragazzi” nasce sulla base dell’esperienza di alcuni Paesi stranieri, in particolare modo di quella francese, ricca di circa 20 anni di attività.
Data la diffusione di questa iniziativa anche in Germania, Austria, Svizzera e Belgio, la Comunità Europea guarda con crescente interesse a queste esperienze che man mano si stanno sempre più diffondendo e consolidando in Italia.
A livello nazionale la legge 285/97 sostiene le azioni positive per la promozione dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza attraverso “misure volte a promuovere la partecipazione dei bambini e degli adolescenti alla vita della comunità locale, anche amministrativa” (art. 7 punto C).
Il CCR è un intervento che coinvolge la scuola, che ormai si configura non più solo come luogo di istruzione ma anche di promozione del benessere dell’infanzia, e il territorio, contesto culturale in cui il ragazzo si forma e cresce. Riteniamo che proprio questa collaborazione tra scuola e territorio, presupposto del CCR, faccia del progetto uno strumento per la promozione dei diritti dei ragazzi che, con la partecipazione diretta all’istituzione attraverso il canale scolastico, imparano a riconoscere la legalità come necessità collettiva, utile anche ai singoli, e non come imposizione sociale connessa a sanzioni.
Il CCR è un progetto che favorisce una più corretta integrazione dei bambini all’interno delle città; se è pensato e organizzato secondo particolari modalità assume la veste di strumento di cambiamento nel modo di interpretare e pensare le esigenze dei cittadini e, quindi, la città.
E’ un intervento che favorisce negli adolescenti processi di partecipazione attiva alla vita pubblica attraverso il diritto alla parola e alle decisioni; percorsi di crescita democratica attraverso il dialogo, il confronto, la scelta, la valutazione; rapporti sociali aperti e “collaborativi” attraverso il lavoro di gruppo, la capacità di lavorare insieme, la comunicazione costante.
Finalità
Far familiarizzare i ragazzi con la vita pubblica e politica, per favorire una forma di educazione\azione alla cittadinanza, nella convinzione che sia fondamentale agire con i ragazzi, soprattutto nella scuola, attraverso una cultura del fare.
Contenere il disagio e prevenire la devianza attraverso la partecipazione diretta dei giovani alle istituzioni e l’assunzione, anche se limitata, di responsabilità. Pensiamo che il tentativo di avvicinare i giovani alle istituzioni attraverso forme di partecipazione diretta, con l’assunzione di specifiche anche se limita- te responsabilità, possa costituire di per sé un elemento di prevenzione della devianza. Ciò soprattutto se in questo modo i ragazzi sono condotti ad affrontare temi che hanno immediati riscontri in ordine al ri- spetto della legalità, intesa come necessità collettiva, utile anche ai singoli e non come imposizione so- ciale connessa a sanzioni.
Obiettivi educativi
Creare relazioni di collaborazione e confronto fra i ragazzi a partire dai problemi reali (di cui non si conoscono a priori le risposte) perché nella ricerca delle possibili soluzioni apprendano ad ascoltare punti di vista diversi e a trovare insieme delle risposte;
–i ragazzi, nel corso degli incontri, parlano e discutono rispettandosi (alzano la mano per prenotarsi, rispettano i turni, ascoltano i colleghi, non si parlano “addosso”);
–tutti (o quasi tutti) si esprimono ed espongono la loro idea o soluzione;
–i ragazzi sono in grado di cambiare il loro punto di vista dopo aver sentito il pensiero dei loro compagni;
–i ragazzi accettano e rispettano una decisione presa;
Mettere in movimento la democrazia passando dalle aspirazioni spontanee (i desideri per migliorare il territorio) all’impegno per realizzarle (il progetto e il CCR).
–i ragazzi saltano pochi incontri di lavoro;
–i ragazzi si impegnano in modo attivo;
–i ragazzi si interessano di più alla città (si guardano intorno, individuano problemi, rispettano la città);
–i ragazzi realizzano concretamente e attivamente il progetto proposto.
Imparare a conoscere il funzionamento della macchina comunale attraverso il rapporto diretto coi servizi.
–esiste reale interazione tra uffici e ragazzi;
–i ragazzi tornano volentieri al servizio;
–i ragazzi sanno dare indicazioni su dove si trova un servizio e di cosa si occupa.
Attivare processi di educazione alla legalità per far acquisire il concetto di salvaguardia del patrimonio collettivo.
–i ragazzi rispettano la città;
–i ragazzi si rimproverano a vicenda (in senso costruttivo) per atteggiamenti scorretti che possono danneggiare le persone o il territorio;
–i ragazzi denunciano situazioni scorrette e segnalano al Comune zone pericolose ecc…
Sostenere la formazione civica nella scuola senza aggiungere nuove incombenze agli insegnanti, bensì individuare momenti e modalità perché insegnanti ed alunni sperimentino strumenti e ruoli diversi da quelli tradizionali.
–i ragazzi imparano il concetto di “macchina comunale”;
–i ragazzi diventano cittadini attivi;
–gli insegnanti raggiungono obiettivi educativi attraverso strumenti non tradizionali.
Soggetti coinvolti
- Ragazzi:
–IV e V elementare
–I, II, III media inferiore
(è possibile scegliere di lavorare anche solo con le medie e viceversa).
- Adulti (ruoli e compiti):
- L’equipe di progetto, formata dal rappresentante del Comune, insegnanti delle scuole, Pedagogisti Clinici, referenti di Cooperativa/Associazioni, eventuali “ospiti” in particolari occasioni. Programma e verifica in itinere l’iniziativa del CCR. Ogni decisione sull’impianto del CCR (che deve necessaria- mente essere adattato alle esigenze del territorio) verrà presa in questa sede. I membri dell’équipe sa- ranno presenti, collaborando con il CCR e gli Animatori a tutte le fasi importanti del progetto.
- I Referenti che faranno da tramite fra il CCR ed il mondo adulto. Avranno un compito di coordinamen- to e crescita del progetto, nel rispetto della libertà dei ragazzi. Domande, aspettative, richieste prove- nienti dai ragazzi non dovranno essere «per forza» soddisfatte, ma saranno piuttosto lette e valorizzate, al fine di ottenere realizzazioni positive per tutti.
- Gli animatori sono il portavoce dell’équipe di lavoro e del CCR. Partecipano all’équipe di progettazione e garantiscono la realizzazione concreta delle decisioni prese per la buona riuscita del progetto.
- Gli insegnanti, collaboratori dei loro ragazzi nelle varie fasi del lavoro previsto dall’impianto del progetto.
- Gli operatori comunali (tecnici e amministratori) per creare un reale rapporto tra ragazzi ed istituzione affinché i ragazzi parlino all’istituzione e l’istituzione impari ad ascoltare i ragazzi. Il Comune offre un supporto di tipo tecnico al CCR e all’équipe.
- I genitori dei ragazzi coinvolti, ma anche l’intero territorio, attraverso momenti pubblici di presenta- zione dell’attività del CCR (iniziative, mostre, dibattiti, fogli informativi).
Aspetti Metodologici
Lavoro di più soggetti, Comune, la Scuola, la Cooperative/Associazioni. Tali soggetti lavoreranno con la consapevolezza di poter realizzare una vera partecipazione dei ragazzi nei confronti della vita della loro città. Non faranno riferimento, quindi, a modelli rigidi e chiusi, bensì flessibili, pensati a partire dalle esigenze e dai bisogni espressi dai ragazzi.
Sarà il lavoro comune e integrato di questi soggetti adulti che lavorano per e con i ragazzi, ciascuno con le proprie specificità e il proprio bagaglio di esperienze, che favorirà una buona base di riuscita dell’iniziativa.
Tali adulti, che potremmo definire “facilitatori”, perché sosterranno e motiveranno i ragazzi nel lavoro senza sostituirsi ad essi, costituiranno un gruppo di lavoro (il Comitato Esecutivo) che dovrà ritrovarsi periodicamente (una volta al mese) per:
–studiare il percorso del progetto (si parte dalle proposte già avanzate a giugno 2000) per poi concretizzarlo e proporlo;
–verificare il progetto durante il suo svolgimento;
–sensibilizzare gli adulti rispetto al CCR (a sostegno del lavoro dei ragazzi);
–garantire il passaggio di comunicazione tra i soggetti coinvolti (essendo tutti rappresentati a questo tavolo).
Sulla base di queste considerazioni, il progetto dovrà prevedere una fase di avvio che avrà l’obiettivo di promuovere il progetto CCR ai diversi soggetti potenzialmente interessati (insegnanti, ragazzi, uffici comunali), fornendo informazioni, chiarendo ed esplicitando obiettivi e metodi per giungere, insieme all’équipe di progetto, alla definizione di un programma di lavoro, sulla base delle indicazioni già diffu- se alla conclusione dello scorso anno scolastico. Riteniamo fondamentale questa fase al fine di garantire le premesse indispensabili al regolare svolgimento del progetto.
Oltre al lavoro di integrazione garantito dall’équipe, sarà fondamentale sviluppare una metodologia atta a creare forti legami di collaborazione tra CCR e insegnanti e CCR e Consiglio Comunale degli adulti. A tal fine saranno utilizzati alcuni strumenti:
–Incontri, assemblee nelle scuole tra CCR e elettori;
–Sostegno da parte degli animatori agli insegnanti nella fase progettuale;
–Comunicazione costante (tramite opuscoli informativi e visite) tra CCR e scuola;
–Partecipazione del CCR ai Consigli adulti;
–Presentazione di mozioni e/o istanze da parte del CCR al Consiglio degli Adulti;
–Un’attenzione particolare verrà rivolta al raccordo tra il CCR e gli uffici comunali.
Nel corso della fase di elaborazione e definizione dei progetti che saranno poi presentati alle elezioni, saranno previsti momenti di visita dei ragazzi agli uffici per richiedere informazioni circa la realizzabi- lità di progetti (verifica di fattibilità), istruzioni per la conoscenza del territorio, idee e suggerimenti utili alla costruzione dei progetti.
Il ruolo del Pedagogista Clinico nel CCR è certamente molto complesso. Può essere riassunto in tre ambiti di funzioni:
- coordinamento e mediazione;
- formazione e relazionalità;
- organizzazione e gestione di iniziative.
E i luoghi in cui questi tre ambiti hanno trovato applicazione sono stati:
- all’interno dell’equipe di coordinamento del progetto;
- nella gestione delle commissioni di lavoro con i ragazzi del CCR;
- nel supporto alle classi e alle insegnanti impegnate nelle attività previste dal progetto.
Il Pedagogista Clinico può essere visto come “fulcro” della ruota del mulino, perché suo compito essenziale è stato quello di facilitare la comunicazione, la collaborazione e lo scambio tra i soggetti coinvolti. Rappresenta, quindi il punto centrale (l’asse portante per tenere insieme le pale) cui tutti possono far riferimento e nello stesso tempo permette l’istaurarsi di relazioni tra le diverse componenti; è punto me- diano poiché la mediazione dei conflitti e dei diversi punti di vista è essenziale in un progetto che coin- volge realtà profondamente diverse; è baricentro perché deve trovare, momento per momento, il giusto equilibrio per tenere in piedi la complessità che ne deriva, facilitando l’interazione tra Scuola, Comune, ragazzi e territorio, per mezzo di spazi di lavoro condivisi.
L’intervento pedagogico clinico nelle società di calcio
Racconto di un’esperienza nella società sportiva scuola calcio “Pro Catania”.
Nell’immaginario collettivo popolare risulta difficile, e quasi improponibile, trovare una correlazione tra sport e Pedagogia Clinica wp-svg-icons custom_icon=”LOGO-GRECO-OK” wrap=”i”, soprattutto se si pensa allo sport come puro “scontro agonistico” tra gruppi di bambini e gruppi di adolescenti. La Lega Calcio, solo recentemente, dall’anno 2004 si è preoccupata di lanciare sul mercato lo slogan nazionalpopolare dell’educazione attraverso lo sport con l’ambizioso intento teorico e pratico di ripensare lo sport in chiave più formativa e non meramente tecnica.
Il monito lanciato della Lega Calcio deve fare riflettere, a più livelli (dalle società dilettantistiche a quel- le professionistiche), quanti operano nel settore sportivo, ed in particolare nel settore giovanile, sul pre- supposto che lo sport non è pura fisicità, né puro agonismo, né puro styling ma è fonte ed ambito di esperienze emozionali che accompagnano l’essere umano a più livelli di coinvolgimento.
La Pedagogia Clinica, come disciplina che si occupa dell’educazione, “si inserisce all’interno di un più vasto compito educativo, che è quello di favorire lo sviluppo integrale della personalità nel modo più completo possibile, in relazione alle condizioni psicofisiche di ogni individuo e l’ambiente in cui vive. Quando si viene chiamati come Pedagogisti Clinici in una scuola calcio “specializzata” o “riconosciuta” dalla FIGC il primo obiettivo che bisogna porsi è quello di conoscere nel più breve tempo possibile il contesto in cui si andrà ad intervenire.
La formazione pedagogico clinica ci fornisce molti metodi che ben si adattano nel “campo sportivo”, ad indirizzo calcistico.
Il Pedagogista Clinico che non è un operatore sanitario, ha il compito di non adattarsi alle carenze della persona, né limitarsi a un intervento basato su un elenco tecnicistico di esercizi esposti su schede o su monitor, ma deve suggerire esperienze originali, impiegare combinazioni di scambio capaci di orientare la persona nel mondo di relazioni, favorire l’intesa e dare sapore alla vita. La scuola calcio è un grande contenitore dove la persona, in questo caso l’allievo calciatore, gli si offre la possibilità di esprimere i propri impulsi essenziali.
Il bambino che gioca trasforma la realtà secondo il proprio io, cioè soddisfa bisogni e liquida il confronto con quella parte del reale per lui ancora inaccessibile. Inoltre, è importante sottolineare che senza un equilibrio affettivo, socio-relazionale è difficile giocare.
Come ci insegna la Pedagogia Clinica, questo ci fa capire l’importanza di una osservazione alla persona in un approccio olistico. Per questo motivo è importante che ci siano figure professionali “capaci” di cooperare con gli adulti che si occupano di sport, di fornire strumenti operativi concreti, di assumere un ruolo di facilitatore e mediatore tra le società sportive, la scuola e la famiglie e di promuovere una cul- tura allo sport che consideri l’atleta nella sua globalità.
Quindi in questo contesto il Pedagogista Clinico, che si distingue da altre figure educative anche per la sua ecletticità, dovrà:
–conoscere ogni singolo componente della scuola calci: Presidente, Dirigenti, Allenatori (Staff tecnico e dirigenziale);
–spiegare chi è e cosa fa il Pedagogista Clinico;
–promuovere un intervento attraverso una condivisone di obiettivi, metodi e valori unitamente allo staff
tecnico e dirigenziale;
–conoscere l’ambiente calcistico e tutte le dinamiche socio-relazionali-affettive.
Pertanto, nella fase di inserimento un primo passo è quello di organizzare, in accordo con i responsabili delle “Scuole Calcio”, un incontro con i tecnici con l’obiettivo di raccogliere le loro aspettative, di conoscere la storia e la vita della società sportiva in cui si è chiamati ad intervenire, con la sensibilità e l’occhio clinico del Pedagogista Clinico.
Il momento conoscitivo
Il secondo passo è costituito dall’analisi del sistema societario e punto di partenza dell’intervento all’in- terno della scuola calcio.
Premettendo che il lavoro deve essere sempre modulato sulla base dell’ambiente in cui si è chiamati ad intervenire, si espone il percorso consulenziale pedagogico clinico realizzato presso la società sportiva che opera da molti anni nel settore giovanile scolastico: Scuola Calcio Specializzata “PRO CATANIA”. Consiste in una rievocazione degli avvenimenti e nella descrizione dei rapporti intercorrenti tra i membri all’interno della costellazione sportiva. È importante una conoscenza sulle condizioni ambientali, socio-culturali, affettive, in cui l’allievo giocatore vive l’attività sportiva, poiché ogni insoddisfazione e/o carenza in ciascuno di questi aspetti può avere delle influenze negative sullo sviluppo adattivo, affettivo, comunicativo e rappresentativo di una performance sportiva.
Anche nel contesto della scuola calcio il momento conoscitivo può essere basato su una serie di distinti proposizioni che si succedono sequenzialmente, in modo da facilitare il passaggio da una situazione ad un’altra. Come ad esempio è importante osservare e notare tutte le dinamiche di accoglienza all’arrivo dei ragazzi presso il campo sportivo e le dinamiche affettivo-relazionali tra il genitore e il figlio, e tra quest’ultimi con l’allenatore.
L’osservazione diventa fondamentale durante tutto il percorso esperienziale presso una scuola calcio, bisogna svolgere un’opera di osservazione permanente al fine di raccogliere ogni particolare che testimoni la personalità di ogni singolo allievo calciatore e delle risorse che offre il sistema calcistico della scuola calcio.
Pertanto, il Pedagogista Clinico registrerà:
–l’analisi delle risorse e le aree di miglioramento del sistema e dei suoi componenti;
–l’analisi dei bisogni percepiti da tutti i protagonisti che fanno parte e che ruotano nella scuola calcio. Successivamente dovrà:
–fare sintesi dei dati raccolti
–condivisione con lo staff tecnico e dirigenziale. (In questo caso il metodo Reflecting è stato di notevole aiuto, nel far riflettere lo staff tecnico sui dati emersi)
–esporre l’ipotesi di intervento, che dovrà essere corredato convenientemente per il contesto in cui ci si trova, da: obiettivi – destinatari – modalità – strumenti e tempi previsionali di realizzazione. I passaggi successivi sono direttamente connessi all’impatto dell’intervento iniziale sui destinatari. Quindi si ren- de necessario una osservazione attenta e valutare i feed-back di tutti i componenti. (Allenatori e gioca- tori)
In questa fase il metodo Reflecting® promuove il rapporto interpersonale, una forma di intercomunicazione che valorizza la simpatia, la solidarietà e cooperazione, nell’ambito della quale il Pedagogista Clinico invita la persona a riflettere per comprendere vari aspetti rilevati ed emersi, fino ad influire in termini di soddisfazioni e di prestazioni sia personali che collettivi in riferimento al gruppo squadra.
Inoltre il metodo, durante questa esperienza, è stato efficiente ed efficace per sostenere ed aiutare gli allenatori a rilevare alcune carenze comunicative con diversi allievi. Fino a giungere ad un’auto-valutazione e migliorare la lettura di molti messaggi corporei degli allievi. Nello specifico è stato utile fare appello alla semiotica, alla comunicazione paralinguistica, alla tonematica, alla cinesica.
Attraverso l’utilizzo del metodo Reflecting si è giunti ad un doppio risultato: il primo riguarda l’aiuto diretto agli allenatori; il secondo per riflesso riguarda il miglioramento relazionale che l’allenatore ha istaurato con i propri allievi, riuscendo a leggere con maggior chiarezza i messaggi verbali e non verbali.
Altro metodo che ha dato risposte sorprendenti all’interno dell’attività sportiva è stato il metodo Edumovement®.
Il metodo Edumovement in ambito applicato nel calcio settore giovanile e scolastico.
Considerato che lo sport ad indirizzo calcistico giovanile non va inteso solo come pura proiezione di doti esclusivamente fisiche ma come aspetto educativo degno di seria considerazione: corpo e anima si uni- scono in una totalità per una concezione unitaria della persona umana. Non c’è sport senza movimento; non c’è movimento senza il corpo. Parlare del corpo equivale a parlare della persona umana nella sua interezza. Esercitare il proprio corpo significa, attraverso l’attività fisica, imparare a disporre di sé. Educare a usare il movimento in senso sportivo non ha solo il traguardo apparente del risultato tecnico ma in effetti concorre a costruire l’uomo, sia pure attraverso l’atleta, attingendo a livelli formativi, etici e sociali. Se il movimento è il “corrispettivo del sapere” implica apprendimento e comunicazione.
La comunicazione è perciò una dimensione fondamentale del vivere sociale e dell’agire educativo. E’ stato possibile utilizzare il metodo Edumovement anche in questo contesto, e ha apportato dei risultati interessanti. Considerato che il calcio è una disciplina sportiva che offre molte opportunità di crescita personale e di interazione socio-affettive e relazionali, ben si è applicato il metodo che tiene conto del contributo che le esperienze di movimento apportano allo sviluppo della consapevolezza del sé, alla costruzione della propria identità e alla capacità di instaurare rapporti soddisfacenti con gli altri.
Infatti è stato possibile consolidare il compito degli allenatori a sollecitare interessi e stimolare proposizioni motivazionali, ponendo al centro della programmazione calcistica un processo educativo finora mai applicato e tenuto in considerazione: il riconoscimento e la valorizzazione dell’identità di ogni singolo allievo. Ciò ha contribuito a far prosperare attività di espressione, di conoscenza e di comunicazione, tenute insieme da quella visione globale che rende l’uomo potenzialmente capace di ogni forma di sé.
Riassumendo il Pedagogista Clinico nelle società di calcio interviene nei confronti:
–di tutte le componenti presenti nelle società di calcio; degli allievi; dei tecnici; dei dirigenti; dei genitori; delle scuole.
Nei confronti delle società di calcio:
–attiva le risorse di tutte le componenti, migliorando le relazioni interpersonali;
–collabora alla pianificazione degli obiettivi.
Nei confronti degli allievi:
–crea un contesto collaborativo tra i componenti del gruppo per favorire la formazione come persona e come atleti;
–stimola la coesione dei gruppi-squadra;
–stimola l’autonomia/differenziata tra gli allievi;
–costruisce e/o ricostruisce la motivazione;
–stimola le capacità cognitive.
Nei confronti dei tecnici:
–aiuta a migliorare il rapporto e la collaborazione tra tecnici dello stesso staff, tra tecnico ed allievo/atleta, tra tecnico e genitore;
–aiuta i tecnici a focalizzare le situazioni su cui lavorare e a comunicare in modo più efficace con gli allievi;
–stimola una migliore comprensione delle informazioni provenienti dalle dinamiche di gruppo.
Nei confronti dei dirigenti delle società:
–sostiene i dirigenti nella gestione e organizzazione delle attività della società propone iniziative che tendono a migliorare l’ambiente psico-sociale.
Nei confronto dei genitori:
–facilita la comunicazione affiancandosi nel compito ai dirigenti e ai tecnici;
–informa sull’età evolutiva e sulle dinamiche relazionali di gruppo;
–sostiene l’importanza della valenza educativa e del divertimento;
–sostiene l’importanza di dialogare con le famiglie e di favorire loro informazioni complete.
Nei confronti della scuola:
–crea un canale comunicativo con le società di calcio;
–facilita il dialogo scuola-società di calcio al fine di evitare sovrapposizioni delle offerte formative che potrebbero disorientare l’allievo-calciatore/alunno.
Intervento pedagogico-clinico in ambito sportivo calcistico
L’intervento tiene conto di vari spetti tra cui: Accoglienza giovani calciatori; Consulenza agli allenatori: informazioni specifiche sull’allievo; Attività di in-formazione; Studio dei processi motivazionali dell’allievo; Organizzazione e programmazione di piani individuali; Comunicazione e dialogo società-famiglia-scuola; Individuazione dei bisogni dell’allievo rispetto all’età evolutiva e le rispettive “performance”; Studio delle dinamiche di gruppo; Rapporti relazionali interpersonali; Rapporto allievo-allenatore (feedback); Dinamiche psicomotorie; Colloqui con la famiglia; Colloqui con la scuola; Incontri periodi- ci con dirigenti di squadra; Relazione allenatore-giocatore-arbitro; Applicazione delle regole del gioco; Calcio come valore e fattore di crescita.
I programmi su descritti rappresentano la sintesi del lavoro svolto a livello delle commissioni nominate dagli Enti locali che li hanno sponsorizzati e ne hanno propugnato la realizzazione condividendone appieno le finalità e la metodologia applicativa.
Vogliamo sottolineare ancora, che l’aspetto, a nostro parere, più significativo è stato quello di ottenere la convergenza non solo sull’aspetto di realizzazione immediata dei programmi ma quello di vederne la proiezione nel tempo e le possibili afferenze e sviluppi. Questa concezione e azione olistica costituisce a nostro parere uno degli elementi base su cui imperniare e costruire le future realizzazioni.
(in Rivista Pedagogia Clinica-Pedagogisti Clinici, Edizioni Scientifiche ISFAR Firenze, n.33/2015).