Il Pedagogista Clinico, un direttore d’orchestra

di Marialucia Di Bona

 

Il Pedagogista Clinico®, che ripone fiducia totale nelle risorse e nelle capacità dell’individuo, aiuta la persona a trovare in se stessa le risposte adeguate ai propri bisogni al fine di un arricchimento della coscienza e della padronanza del proprio Io per giungere ad ottenere successi personali. Questa modalità educativa e comunicativa è basata sull’utilizzo di tutti i codici semiologici, i quali permettono alla diade professionista-persona di creare un flusso melodico che li lega. Azioni che producono esiti sull’altro che vive, partecipa il flusso melodico di un movimento significante. Segni che aprono alla comunicazione con norme definite da spartiti, tempi, ritmi e spazi, da insiemi e da grandezze, da orientamenti e posizionalità e che ben esprimono i significati delle manifestazioni, delle esecuzioni, di ogni connotazione emozionale e affettiva e l’esplicitazione della loro intensità (Pesci S. , 2005). Il flusso melodico nasce dal non abuso della parola, dall’armonia comunicazionale che esprime quasi musicalmente il tà meghista, le cose di maggior valore (cfr. Platone, Lettera VII 341 c-d).

Potremmo, pertanto, paragonare il Pedagogista Clinico ad un direttore d’orchestra impegnato a dirigere, di volta in volta, l’orchestra uomo. In fondo, la persona è per-sonu ed il corpo umano è il primo e più completo strumento musicale, l’energia e il movimento di cui siamo costituiti si manifestano in un tempo e in uno spazio.

Tuttavia il Pedagogista Clinico è un direttore d’orchestra particolare, che permette ad ognuno di esprimere se stesso, di scrivere da sé la propria partitura, e di eseguirla liberamente attraverso il proprio strumento-corpo. Ogni partitura è diversa dall’altra perché, per quanto simili, non esisteranno mai due strumenti completamente identici. La com-posizione è realizzata insieme, si pongono insieme le note nello spartito.

Il parallelo Pedagogista Clinico e direttore d’orchestra regge proprio in virtù delle modalità comunicative che entrambe le figure adottano. Il Pedagogista Clinico, attraverso forme comunicative prevalentemente, ma non esclusivamente, non verbali utilizza il Reflecting® come modalità di interazione con la persona.

I tre pilastri su cui si fonda la teoria della tecnica del Reflecting® sono il silenzio (non soltanto nello stare in ascolto, ma l’uso attivo del silenzio come modalità comunicante), la parola (il cui uso è parcellizzato tanto da essere definibile come “attrice non protagonista”) e la comunicazione non verbale (non soltanto letta, osservata, ma usata intenzionalmente per veicolare stimoli), (Pesci, Profilo Professionale del Pedagogista Clinico).

Il silenzio è da intendersi come un “tacere verbale” denso di significati e sinonimo di ascolto proattivo, polivalente, polifunzionale, polidinamico. La parola viene utilizzata con parsimonia.

Il professionista in questione, permette alla persona di “abbeverarsi alla fonte viva di se stessa”, ecco perché, in Pedagogia Clinica , parliamo di nuova maieutica. A differenza di Socrate che giungeva all’ex-ducere attraverso domande dirette, i pedagogisti clinici fungono da eco alla persona. Infatti, si crea tra professionista e persona, un rapporto simpatetico, fondato sull’exotopia: “si sente” con l’Altro nella ferma consapevolezza che l’Altro è altro da noi (simpatetico dal lat. sympathia, che è dal gr. sympátheia, der. di páthos ‘affezione, sentimento’, col pref. syn- ‘con, insieme’). Non si parla, pertanto, di rapporto empatico che indicherebbe, invece, un processo di immedesimazione tale da  non distinguere più l’Altro da me (dal greco: ‘en’ dentro ‘pathos’ sentimento). La comunicazione non verbale colta e utilizzata dal in prima persona, può essere divisa in due macro aree: la macrocinestesia, fatta di grandi (ma mai esagerati) gesti del busto, braccia e gambe, e la microcinestesia fatta di piccoli gesti, come le espressioni del volto, movimenti oculari ecc.

Egli, sapendo distinguere le varie funzioni delle singole parole, degli effetti timbrici e ritmici, impiegando consapevolmente in modo mirato le voci verbali, conoscendo gli effetti delle interiezioni e delle locuzioni, utilizza questi stimoli con sensibilità, così come si serve della lingua dello sguardo, del corredo dei segni facciali, di tutti i medium parlanti, compresi i silenzi e ogni gesto illustratore (Pesci G. , 2008).

Date le opportune promesse, approfondiamo le cognizioni che ci permettono di supportare l’idea di una similitudine tra Pedagogista Clinico e direttore d’orchestra.

Innanzitutto, il Pedagogista Clinico, così come il direttore d’orchestra, riserva particolare attenzione al valore espressivo dei suoni e alle loro possibilità ritmiche e musicali e a ciò che si consegue espressivamente sia con l’alternanza dei suoni alti e bassi, forti e deboli, veloci e lenti, sia con il modo in cui questi vengono emessi (Pesci G., Pesci S., Viviani. 2003). La parola utilizzata dal professionista in aiuto alla persona deve essere musicale, in quanto vi rientra un uso consapevole della tonematica, della paralinguistica. Tutto deve essere armonico ed equilibrato, come in una composizione orchestrale.

Come già accennato, il Pedagogista Clinico grazie alla modalità che gli è più propria, l’orientamento al Reflecting®, non suggerisce, ammaestra o consiglia, ma sollecita l’interlocutore, lo accompagna lungo un percorso finalizzato all’espansione di Sé. Il protagonista è la persona che “lavora” su se stessa, per se stessa, da se stessa. Allo stesso modo, un bravo direttore d’orchestra dirige cercando di rendersi quanto più marginale possibile, pur consapevole  dell’importanza della sua funzione. Come il Maestro non chiede verbalmente e direttamente, ma sollecita la propria orchestra con la mimica facciale e con gesti inequivocabili ottiene risposte espressive dai musicisti, così il Pedagogista Clinico non chiede, ma apre canali comunicativi con la persona. Il direttore d’orchestra coinvolge tutto il corpo nel movimento, cambia posizione sul podio, rivolgendosi ora a una sezione ora ad un’altra. Il Pedagogista Clinico ruota il busto e lo sguardo, ora in direzione di uno ora di un altro (nel caso si trovi a lavorare con coppie o con gruppi). Il Maestro si avvale di entrambe le mani, la mano destra per segnare il tempo e assicurare la metrica dell’opera, la mano sinistra (e il viso) per dare indicazioni espressive, tutto ciò con la massima economia gestuale. Con la stessa economia gestuale, il Pedagogista Clinico, utilizza le mani come facilitatori della comunicazione. Le mani del professionista in aiuto alla persona accolgono quanto dichiarato dal soggetto, accompagnano e invogliano l’esposizione del Sé. L’atteggiamento eccessivamente ampolloso, nell’uno e nell’altro caso, produrrebbe risposte altrettanto eccessive ponendo in una condizione di disagio il musicista da una parte e la persona dall’altra. Affinché l’attenzione incosciente possa adempiere alla sua funzione è necessario che i gesti e tutte le espressioni del direttore/Pedagogista Clinico siano afferrati con il minor dispendio di attenzione cosciente possibile. Da qui l’inopportunità della teatralità gestuale, mimica e corporea del professionista. Come il musicista, grazie alla visione laterale, è concentrato sul proprio spartito, ma percepisce anche i movimenti del direttore, così la persona riflette e lavora su se stessa percependo, attraverso l’attenzione incosciente, il patrimonio non verbale offertole dal Pedagogista Clinico.

Il direttore d’orchestra è sempre in attenzione e in ascolto così da cogliere tutte le sfumature ritmiche ed espressive prodotte dagli strumentisti. Sviluppa la memoria dei diversi momenti dell’opera e del suo sviluppo melodico. Il Pedagogista Clinico fa lo stesso, ricorda la storia della persona che gli si rivolge e ogni passaggio verso l’espansione del Sé. È altresì importante ricordare come, le figure che stiamo mettendo a confronto, imparino una tecnica per poi renderla propria. L’autentico direttore d’orchestra e il vero Pedagogista Clinico, fondono la componente tecnica con le propri attitudini e predisposizioni naturali. Tutto il percorso musicale/di aiuto è condotto, infatti, nella più totale naturalezza, senza forzature o macchinazioni.

Possiamo, ancora, prendere in esame l’appropriatezza dell’uso di tutto il corpo da parte del Pedagogista Clinico/direttore d’orchestra. Vi sono Maestri che, ad esempio, non si servono mai della mano sinistra, che pende al loro fianco, come morta. Viene meno, così, l’organo deputato all’espressione dei coloriti musicali. Lo stesso Pedagogista Clinico, deve avere padronanza e dimestichezza del proprio corpo per mostrarla alla persona, in vista di quella tanto auspicata riappropriazione del proprio Sé e del proprio Sé corporeo. Il Pedagogista Clinico utilizza un corredo semiotico vastissimo. Solo per fare alcuni esempi: gli occhi stretti, a fessura possono indurre a mettere meglio a fuoco un vissuto raccontato dalla persona; il bacio analogico esprime una riflessione su ciò che è stato appena detto; se dall’esposizione del vissuto vengono fuori due realtà a paragone il Pedagogista Clinico può utilizzare le mani a mo’ di bilancia ecc.

A paragone potremmo addirittura porre lo studio della disposizione nello spazio dei musicisti e coristi e quella che, in Pedagogia Clinica, viene adottata nella conduzione di esperienze con i gruppi. La forma semicircolare e/o circolare, risulta essere la migliore, tenuto conto delle eccezioni imposte dalle attività da svolgere, dalle caratteristiche degli spazi a disposizione e dal numero dei partecipanti. La mancanza di angoli retti permette di evitare lo sguardo “di sbieco” del Pedagogista Clinico che, con tutti i rimandi del caso, influenzerebbe negativamente la relazione. Addirittura, si pone attenzione a che i due lati in cui termina il semicerchio, siano esattamente alla stessa altezza.

La relazione, portata avanti secondo specifiche modalità, è lo strumento per entrare in simpatia con gli altri. Così come sono in movimento le corde degli strumenti musicali durante l’esecuzione, allo stesso modo la relazione d’aiuto fa vibrare, e quindi pone in movimento, i sentimenti e i pensieri delle persone.    

(in Rivista Pedagogia Clinica-Pedagogisti Clinici, Edizioni Scientifiche ISFAR Firenze, n. 37/2017)