Il Pedagogista Clinico®: uscire dalla solitudine della diversa abilità

di Rita Calderone

 

Cosa si intende per abilità? Dal Dizionario di Pedagogia Clinica  abilità vuol significare la capacità di portare a termine compiti e di risolvere problemi. Derivata da un processo interagente tra attitudine e apprendimento, è condizione dinamica progressiva che determina nell’individuo funzioni e ruoli, originando il senso di autostima, di prestigio e riconoscimento. Cosa si intende per disabilità? Dal Dizionario di Pedagogia Clinica disabilità vuol significare la condizione personale che rende meno autonomo un soggetto nello svolgere le attività quotidiane e spesso in svantaggio nel partecipare alla vita sociale. Nel manuale dell’ICF la disabilità è definita un’esperienza che tutti, nell’arco della vita, possono sperimentare. In alternanza al termine disabile è stato coniato il neologismo “diversamente abile” che pone l’enfasi sulla differenza qualitativa nell’uso delle abilità. Ecco che ritorniamo al termine abilità. Una abilità che improvvisamente a tutti può essere tolta. Le persone, per lo più genitori, un adulto, si sentono soli, vivono in una città grande una solitudine grande. L’adulto, nel momento che scopre la sua disabilità, inizia a girovagare per trovare chi può sentire la sua voce, la sua solitudine. La famiglia altrettanto, inizia un percorso, spesso accompagnato dal senso di colpa, per un evento improvviso che ha sconvolto la sua quotidiana vita, la nascita di un bambino con disabilità. Come si sente un bambino, molte volte non lo possiamo sapere! Non sempre riesce a comunicarlo! Vivere la solitudine della diversa abilità è vivere una condizione nuova dell’io, un io diverso dall’altro, perché inevitabilmente tutta l’esperienza formativa di ciascun essere umano è costantemente attraversata e costellata da continue presenze dell’altro. Pertanto entrare in relazione con l’altro innegabilmente vuoi dire entrare in contatto con un’altra identità, cioè con qualcuno che è “diverso” da me. E attraverso questo gesto, oltre a sviluppare maggiore coscienza della identità, si può diventare più ricchi, dell’alterità riconosciuta.  Ma quando l’altro non ti vede perché sei diverso ecco che la solitudine domina su tutto, ma quando l’altro non so cosa fare e come comportarsi perché sei diverso ecco che la solitudine domina su tutto. Per uscire dalla solitudine della diversa abilità bisogna come adulti accettarsi e capire che si può ricominciare una nuova vita; come famiglia rendersi conto che non ci sono colpe ma situazioni nuove da vivere in maniera diversa; come bambini tutto ci sempre naturale e mai diverso. Dunque cosa fare per uscire dalla solitudine della diversa abilità? Tutti hanno il diritto di essere aiutati, nel rispetto del diritto di uguaglianza, per vivere in un ambiente accogliente vero, e non artificiale perché adattato alla disabilità. Spesso il comportamento deviante di chi non sa come approcciarsi alla disabilità, poverino cosa faccio se non mi sente, poverino cosa faccio se non mi vede, poverino cosa faccio se non mi capisce, porta sempre più alla solitudine. Ma dove sono quei bei principi di integrazione ed inclusione, che non solo fanno parte della scuola ma del mondo? Per evitare l’emarginazione, per abbattere le distorsioni e i pregiudizi nei confronti di coloro che hanno bisogno di aiuto,  per uscire dalla solitudine della diversa abilità, a prescindere che questa diversa abilità sia più o meno compromettente per la persona, bambino o adulto, un metodo è vivere esperienze che valorizzano e armonizzano la persona nel suo essere.

Soffermiamoci su come e chi può aiutare veramente la persona ad uscire dalla solitudine della diversa abilità. È la Pedagogia Clinica, una nuova scienza ormai in uso da quarant’anni, che orienta la persona che chiede aiuto allo sviluppo e al progresso individuale. In Pedagogia Clinica le abilità sono intese come risorse e conquiste coniugate alle potenzialità e alle disponibilità. Il Pedagogista Clinico® nel suo ruolo operativo fa sì che la persona possa trovare dentro di sé risposte adeguate ai bisogni, per giungere ad un equilibrio che sviluppa un nuovo processo vitale. I metodi del Pedagogista Clinico sono protetti da marchio registrato e ben rispondono alle esigenze della persona. Soddisfano le motivazioni, la volontà, promuovono sollievi emotivi con risultati significativi. Si tratta di percorsi condotti in un clima relazionale simpatetico, momenti interattivi non prevaricanti che offrono alla persona l’occasione di tornare a manifestarsi, a proporsi, con tutti i canali di comunicazione. Qui vorrei fare un inciso partendo proprio dalla mia vita, nel momento in cui le abilità si sono improvvisamente trasformate in diverse abilità. Mi sentivo sola, mi sentivo delusa dalla vita, mi sentiva finita. Gli altri attorno a me non mi capivano, gli altri attorno a me non avevano i miei stessi occhi per vedere cosa cambiava in me, gli altri spesso non si accorgevano di come mi sentivo veramente,  ma dovevo essere forte, perché moglie, perché mamma, perché figlia e proprio in quel momento mio padre moriva. A chi gridare il mio senso di solitudine, da chi farmi aiutare. La prassi medica serve solo a darti quando può una diagnosi ma non di certo gli strumenti per affrontarla e combatterla. In quegli anni studiavo per diventare Pedagogista Clinico e ho scoperto quante altre potenzialità c’erano dentro di me. Molti amici mi hanno sorretto per completare gli studi, ma spesso non sempre ti capivano fino in fondo. La Pedagogia Clinica mi ha dato la possibilità di uscire dalla solitudine che mi stava avvolgendo.

Così ho capito sempre di più come si sentivano le persone sole, che cercavano aiuto, ho iniziato ad essere Pedagogista Clinico, per arrivare a quante più persone possibili ho voluto fortemente portare avanti una associazione. Le persone che bussano alla porta dell’Associazione “Labirinto a Colori” e chiedo aiuto al Pedagogista Clinico vivono diverse forme di disagio fino alla grave disabilità. Oggi voglio soffermarmi  e condividere con tutti voi due esperienze di diversa abilità. L’esperienza fatta con  un bambino con encopresi. La famiglia ha chiesto la collaborazione dell’Associazione Labirinto a Colori, nella figura professionale del Pedagogista Clinico,  per essere aiutata nella gestione del problema e giungere alla sua soluzione. Ma cos’è l’encopresi? L’encopresi è la mancata ritenzione delle feci. Le cause dell’encopresi possono essere di tre tipi: anatomiche, alimentari e psicologiche. Nella maggior parte dei casi le cause sono però psicologiche. Tra le più frequenti troviamo i conflitti emotivi con i genitori, la paura della defecazione ed una errata educazione al vasino da parte dei genitori (troppo precoce, severa o assente). I sintomi fisici sono i più evidenti ma non è da sottovalutare l’impatto psicologico. I bambini che soffrono di encopresi sviluppano solitamente ansia, senso di colpa e paura di essere scoperti e giudicati. Questo li porta ad isolarsi dagli altri ed a rifiutare di recarsi nei luoghi comuni come la scuola e le attività sportive. In alcuni rari casi il bambino sviluppa un approccio aggressivo mostrandosi indifferente ai propri sintomi o mostrando gli indumenti sporchi con aria di sfida. L’encopresi si divide in due forme: encopresi primaria e secondaria. E’ stata riscontrata una maggiore incidenza nei maschi (il rapporto è di uno a cinque). Normalmente un bambino impara a trattenere e rilasciare consapevolmente le feci entro i tre anni, se il tempo si protrae si parla di encopresi primaria e può essere dovuta a diversi fattori, dalla pigrizia alla necessità di un tempo più lungo per imparare a farlo. L’encopresi secondaria invece si manifesta quando il bambino inizia a non trattenere le feci pur essendo in grado di farlo. Per quanto riguarda l’encopresi primaria, ovvero il mancato raggiungimento del controllo degli sfinteri, occorre intervenire non soltanto sul bambino ma anche sui genitori. Non bisogna mai umiliare i bambini o punirli ma è importante aiutarli a raggiungere l’obiettivo con alcune semplici regole. Il Pedagogista Clinico nel rapportarsi con il bambino ha usato come metodo il Touch Ball® per soddisfare l’equilibrio, emulsionare intesa e fiducia nella relazione, liberandolo dal proprio blocco inibitorio, dalla propria vulnerabilità. Un dialogo offerto dal metodo, soddisfatto da una palla monocromatica ripiena di acqua, che favorisce l’esplorazione del corpo, per dare l’opportunità di confrontarsi con la propria unità cosciente e inconscia, acquisire fiducia e controllo di sé. Un altro metodo usato è stato il Body Work®  che con il suo imperativo “conoscersi” orienta la persona alla conquista del sé.  Vediamo insieme il filmato in cui Federico esprime volontariamente cosa ha provato dopo aver vissuto l’esperienza corporea del TouchBall. Un’altra esperienza che vorrei condividere è un bambino “grave-gravissimo” così definito per la sua patologia, tetraparesi spastica in soggetto con pluriminorazioni. La famiglia si rivolge all’Associazione Labirinto a Colori, si sente sola, e non perde la speranza di capire come la Pedagogia Clinica potrà aiutare il suo bambino. La tetraparesi spastica rientra nel quadro della paralisi cerebrale infantile, che è la manifestazione senso-motoria di un danno cerebrale che si verifica nell’infanzia. La classificazione delle paralisi cerebrali comprende tre forme: piramidali; extrapiramidali; miste. A questi disturbi motori si possono associare anche epilessia, ipotermia, deficit sensitivo con alterazione del senso del movimento e della posizione corporea, incoordinazione dei movimenti della lingua e della deglutizione; il linguaggio è ritardato, disturbi e ritardo dell’apprendimento, ritardo intellettuale, disturbi visivi. La terapia riabilitativa con fisioterapia si propone di favorire lo sviluppo motorio. I farmaci servono per ridurre l’ipertono, evitare convulsioni, integrare l’alimentazione difficoltosa. La prognosi dipende dalla precocità della lesione, dalla sua localizzazione ed estensione. Non esiste una terapia funzionale alle cause, ecco perché come Pedagogista Clinico ho deciso di iniziare un intervento di aiuto mirato alla persona e alla scoperta del sé. Le tecniche corporee hanno sostenuto la persona, hanno delineato i suoi confini e hanno consentito di entrare in sintonia col proprio corpo per scoprire l’identità corporea. Il corpo toccato ha registrato una percezione, ha sviluppato un linguaggio degli affetti, la consapevolezza dei piaceri, il contenimento di una eccessiva scialorrea. L’approccio iniziale è stato ludico, dallo studio siamo arrivati alla scuola per formare e informare il personale su chi era Angelo oltre la sua patologia. Inizialmente erano presenti molti spasmi involontari tipici della patologia. Tutto il resto ce lo raccontano i video con la differenza tra il prima e il qui ed ora. La presenza del cosiddetto “diverso” nella società così come nella scuola genera conflitti, mette in crisi il normale funzionamento dei sistemi e condiziona in modo forte la formazione e la crescita dei singoli, tanto più se si tratta di bambini e/o adolescenti. “Sono salito sulla cattedra per ricordare a me stesso che dobbiamo guardare le cose sempre da angolazioni diverse”  Robin Williams in “L’attimo fuggente”.

(in Rivista Pedagogia Clinica-Pedagogisti Clinici, Edizioni Scientifiche ISFAR Firenze, n. 36/2017)