Intervista di Marta Mani al Prof. Edo Bonistalli
Obbligata dal decreto antivirus a rimanere in casa e sistemando un po’ il materiale di lavoro dei miei anni trascorsi ho ritrovato una mia intervista al prof. Edo Bonistalli che avevo messo via dopo la sua improvvisa morte, e ora che l’ho ritrovata mi piace condividerla e farla conoscere.
Intervista
Sono lieta di poter incontrare uno dei componenti il gruppo che ha dato vita alla Pedagogia Clinica, una scienza che oggi ha trovato un meritato riconoscimento ed ha consolidato il proprio contributo sociale. Dalla costituzione del Movimento dei pedagogisti clinici la ricerca e la sperimentazione cui anche Lei professor Bonistalli ha contribuito, hanno definito l’assetto epistemologico e apportato alla disciplina un valore di novità con una metodologia capace di attenzione nei confronti dell’integrità e della preziosa unicità dell’essere umano. Io sono in formazione qui nella sua tenuta dove l’ISFAR tiene la formazione estiva per acquisire conoscenze e abilità in Pedagogia Clinica, vorrei sapere da Lei come è avvenuta questa genitura in principi e orientamenti.
-Sono trascorsi molti anni, ma non è possibile dimenticare il fervore di tutti noi nell’individuare, dare forza e costanza ad una nuova disciplina svincolata dalla sanità e sostenuta dalla stima della persona che reputavamo avesse bisogno di essere riconosciuta e aiutata con i rispetti dell’educazione. Tutti noi eravamo impegnati e gli incontri che avevamo iniziato ad avere per questo scopo risalgono prima del 1974, anno che Guido richiama come l’anno della nascita della Pedagogia Clinica e della nuova professione che tendenzialmente volevamo sviluppare. Di sicuro ne parlavamo e ci confrontavamo già almeno un anno prima del ‘74; anche se l’impegno più costruttivo data il 1974, momento in cui definimmo in maniera più puntuale gli scopi, la struttura del Movimento, delle idee e nuove soluzioni. Guido era il più giovane tra noi e come ogni giovane, più attivo, più impegnato, anche più politicamente attento alle esigenze della persona che a quei tempi definivamo ancora con dei termini ormai desueti.
Professore lei fa appello ad un processo che sicuramente vi impegnava poiché doveva tener conto di tante e nuove elaborazioni intellettuali interpretative di una società in cui era indispensabile un cambiamento.
–Una sera in tarda ora durante i nostri incontri di Cenacolo presso il Centro Antiemarginazione, si, perché spesso era di notte che ci incontravamo, fu Guido a proporre il termine Pedagogia Clinica per definire la scienza in cui aveva fatto confluire le tante idee e i diversi suggerimenti che ognuno di noi aveva apportato. Sapevamo di essere all’inizio di un percorso che avrebbe richiesto tempo e impegno per una seria ricerca che garantisse una epistemologia, sostanze e validati principi.
Dice che vi incontravate piuttosto alla notte, ma come erano i vostri incontri, formali, informali…
–Eravamo tutti in amicizia perciò il confronto era da “Caffè”, l’argomento si affrontava a volte camminando per la città, oppure seduti su una panchina fino alle ore piccole del mattino, a quei tempi questo era possibile, altrimenti nel nostro Centro, perfino tra un paziente e l’altro (a quei tempi le persone le chiamavamo ancora così).
Si ricorda il momento in cui è stato coniato il termine Pedagogia Clinica e Pedagogista Clinico®? Fu un momento particolare oppure in una occasione solita.
–Sì tutto accadde in una maniera, mi vien fatto di dire alla D’Artagnan, ricordo che il dottor Pesci entra e fa l’annuncio: “Pedagogia Clinica” e con un affondo da moschettiere con un altissimo tono di voce Pedagogista Clinico®. Nonostante l‘enfasi, ricordo bene, quel momento topico che fu seguito dal silenzio come a pensare, a riflettere, poi seguì l’entusiasmo denso di serietà e di gioiosità e così fra futuri intenti e impegni, e scherzi, frizzi e lazzi, eravamo diventati tutti più giovani.
Poi nei giorni a venire come avete potuto portare avanti il tutto per dare una connotazione a questo raggiunto traguardo?
–L’immediato successo dell’annuncio ebbe un suo seguito, per molti giorni quelli che si incontravano non facevano che ripetere il momento di quel “parto” come io l’ho chiamato e tutti erano soddisfatti. In un incontro successivo ci rendemmo meglio conto che stavamo dando vita ad una scienza e ad una professione distintiva.
E poi professore in tempi successivi come avete contribuito ciascuno alla ricerca?
–Tutti noi eravamo costantemente impegnati ad offrire alla Pedagogia Clinica un personale contributo e lo siamo tuttora. Ciascuno di noi era laureato in discipline diverse ed è da queste discipline che una dinamica su basi teoriche, esperienziali e sperimentali ha permesso di giungere a dei risultati così significativi.
La ringrazio Professore di questo tempo che mi ha concesso
–A lei
Marta Mani