La dimensione della Corporeità

di Myriam Perseo

 

L’attenzione per la dimensione della corporeità e per la comunicazione del corpo, quale  luogo relazionale che ci coinvolge integralmente offre la possibilità  di intenderlo quale mediatore tra la nostra interiorità e ciò che è fuori da noi. Da qui scaturisce l’attenzione alla persona e a quel reciproco coabitarsi e compenetrarsi fra “dentro e fuori”, che rende autentica e realizzabile ogni comunicazione.

La Pedagogia Clinica  si pone quale  compito quello di «restituire [alla persona] un totale, personale e autentico linguaggio, la possibilità di prendere coscienza del proprio corpo, delle proprie emozioni, sensazioni ed espressioni» e di comunicarle liberamente.   Essa  “riscopre” il corpo nei suoi valori umanistici  più qualificanti, valorizzandone gli aspetti legati all’incontro, alla relazione, alla compartecipazione, al vivere esperienze concrete ricche e di significato: il rapporto educativo è visto come rapporto di “reciprocità” e incontro tra “alterità” in cui un “essere corpo” si incrocia, si intreccia nella storia unica di altri “essere corpo”. 

Etimologicamente comunicare significa “mettere in comune”, “essere con”, quindi mettere in rapporto qualcosa che “ha una distanza” con qualcos’altro. «La comunicazione, sia che si serva del linguaggio verbale che del modulo analogico, sia che si realizzi con silenzi, attività o inattività o con diverse punteggiature delle sequenze, è comunque capace di influenzare la relazione tra partecipanti» . È  la possibilità di stabilire legami, di unificare ciò che è lontano, di costruire relazioni, di operare dei cambiamenti. La persona è  possibilità,  punto di partenza, luogo di contatto, spazio di incontro, dialogo e apertura verso l’altro: essa non esiste senza il suo “altro”, senza il suo “tu”. Il mio esistere, infatti, si specchia nell’esistere del tu; io stesso divento tu per gli altri. Il profeta Gibran scriveva «il tuo prossimo è lo sconosciuto che è in te, reso visibile. Il suo volto si riflette nelle acque tranquille e in quelle acque, se osservi bene, scorgerai il tuo stesso volto [..] Non sei tu solo ad essere te stesso».

L’incontro diventa, allora, un’intesa, uno scambio al quale il corpo partecipa nella sua globalità ed interezza; “parla” e “racconta” il mondo interiore della persona, ponendola in situazione di disponibilità positiva verso l’ascolto di sé stessa e degli altri; uno spazio in cui si intrecciano l’espressività personale e la comunicazione interpersonale.

Il corpo, con la propria carica comunicativa, dispone le relazioni spaziali fra l’individuo e l’altro da sé e si offre da ponte nella realizzazione di incontri pregni di significati: la spazialità del corpo “delimita” la geografia delle emozioni e ciò si riflette nel linguaggio, nelle parole. Esso è  un potente mezzo espressivo e comunicativo, autentico, profondo, unico che permette di vivere i contatti: un sistema di segni, tanto più complesso quanto più si esprime, agisce, comunica. 

Ciò successe migliaia di anni fa, quando il contenuto corpo si trasformò in grido, pianto e parola: la parola è essenzialmente “ gestualità”, qualcosa che si “lancia” e si riceve, che si dice e che si ascolta, che può penetrare o rimbalzare.

Nel corpo co-esistono, quindi, due dimensioni: quella “esterna”, in quanto opportunità di prendere possesso nel e sul mondo attraverso il movimento e quella “interna”, in quanto testimonianza dell’esistenza della persona e modalità di identificazione dell’Io. Ma, vi è un’altra dimensione «quella condivisa, che caratterizza il contatto pieno con l’altro […] È la co-costruzione di un “noi”, terzo punto di vista oltre al “mio e al tuo”».

Se la corporeità è il luogo della differenziazione fra il sé e l’altro, la prima espressione della singolarità che caratterizza in maniera originale la persona e che rende possibile incontrare altre singolarità-corpo, è anche la dimensione del noi. Tale dimensione è sperimentabile proprio perché la nostra esistenza è corporea e la  comprensione e conoscenza  dell’altro passa attraverso il con-tatto.

Il contatto con l’altro è fondamentale nella  costruzione di un dialogo, che ha nella cura, nella manipolazione, nel sentire il suo pieno significato. La nostra pelle diviene, allora, occasione relazionale; i sensi permettono l’apertura alla relazione con le altre persone; quell’apertura intenzionale al mondo circostante che è sguardo rivolto agli altri, dialogo, scambio. La postura, l’espressione del volto, l’espressione dei muscoli, gli atteggiamenti spaziali sono la diretta narrazione della storia psicologica, biologica e personale dell’individuo.

La Pedagogia Clinica, caratterizzandosi  quale « pedagogia del concreto, applicata, pratica, autentica, capace di incidere veramente nel vissuto delle persone»,  è idonea a dare significati nuovi all’esperienza, al vissuto, al senso dell’esistere, valorizzando la persona  globale, l’individuo che agisce, che si muove, che pensa, che vive.

Da tutto ciò emerge il bisogno di pensare la persona, non come un io che ha un corpo, ma come  corporeità vivente, tanto che, se improvvisamente la nostra figura dovesse cambiare forma, non solo non saremo più riconosciuti dagli altri,  ma  cesseremo di essere “io”. Il nostro è un corpo proprio, un corpo vivente, non mera organicità, ma sensazione e rimando di significati, che fa della “fisicità” lo specchio dell’esistenza.

«La considerazione del corpo […], come corpo proprio, corpo vivo, apre ad una nuova considerazione della corporeità […] che vede l’uomo come unità irriducibile, sia pur complessa, a tratti enigmatica e mostra come il corpo sia luogo in cui si iscrive la cifra di senso dell’esistenza umana». L’esistenza appartiene sostanzialmente al corpo, così come l’unicità e l’alterità sono condizioni essenziali, che non hanno bisogno di spiegazioni in quanto portatrici di senso proprio, di fondazione, ma eventualmente, di interpretazione e chiarificazione. Esso è ciò che siamo e ciò mediante il quale esistiamo, «il mondo esiste per noi in quanto è, nella sua indubitabile realtà, un prolungamento del nostro corpo. Nel rapportarci a noi stessi ci cogliamo come in nostro proprio corpo».   Cogliere un sé, non come oggetto, ma come processo in divenire,  offre senso alla dimensione incarnata dell’esistere.  Un sé non più riconducibile ad uno statuto frammentario, ma un sé che prende forma: se io non avessi le mani non potrei scrivere su questo foglio e, allo stesso modo, se non avessi gli occhi non potrei rileggere queste righe. Infatti, «è con il corpo che l’uomo ama, è con il corpo che l’uomo lavora, è con il corpo che l’uomo studia: è grazie alla “materialità” dell’esistenza che fa parte e interagisce con la società. L’uomo entra in relazione con l’ambiente attraverso la propria consistenza di “essere un corpo”, perché è proprio grazie ad esso che può agire ed esprimersi rispetto alle situazioni» .

L’attenzione, la riflessione, l’ascolto di sé  e l’apertura comunicativa nei confronti degli altri, permettono al Pedagogista Clinico® di costruire una relazione che abbia quale fondamento la centralità della persona. Una relazione in cui accogliere, prendersi cura della persona significa riconoscere e valorizzare il corpo come “luogo” da esplorare, conoscere, rispettare;  uno “spazio” vasto, misterioso, unico, luogo privilegiato del sapere: «l’attenzione al Sé porta al cuore dell’individuo, alla possibilità del cambiamento e di nuovi apprendimenti».

Il corpo diviene veicolo e occasione di riflessione: «ri-flettere è accogliere nel proprio sguardo quelle fugaci impressioni e quelle percezioni inavvertite con cui il mondo mi si offre e con cui io mi offro al mondo nel momento in cui gliele restituisco[…] Riflettere non è costruire il mondo, ma restituirgli la sua offerta». 

Ecco che l’approccio pedagogico clinico valorizza il corpo dell’esperienza, ciò che ci appartiene più intimamente; quel corpo che sentiamo dentro di noi, nella parte più profonda, che agisce senza bisogno di rappresentarlo, il corpo “vissuto”. Perché si possa recuperare il senso dell’esperienza, di una corporeità vissuta il Pedagogista Clinico assume, essenzialmente, un nuovo punto di vista, quello che partendo da un’intelligenza fisica, che percepisce, racconta, trasforma e forma, rende la persona consapevole, non del possedere un corpo, ma, del riconoscersi  come soggetto psicofisico, in cui corpo, mente e spirito sono parte indissolubile l’una dell’altra.

L’approccio olistico restituisce al soggetto la possibilità di prendere coscienza del proprio corpo, delle proprie emozioni, sensazioni e percezioni attuando un totale e reale linguaggio espressivo e comunicativo e avvalendosi di principi attivi e dinamici favorisce nuove opportunità di sperimentare, di trasformare i pensieri in azioni, di attivare la disponibilità verso gli altri.

La Pedagogia Clinica, con il suo approccio olistico, può rendere maggiormente articolate le possibilità di sviluppo creativo ed espressivo, le quali garantiscano alla  persona di utilizzare diversi tipi di linguaggio. Infatti, ogni modalità d’espressione, ogni linguaggio portano all’integrazione della persona come unità. Essa si sviluppa attraverso il contatto e la relazione con altre unità: essere significa co-esistere, coabitare: non si può essere solo in virtù di sé stessi, ma, inter-essere con chi non è me.

(in Rivista Pedagogia Clinica-Pedagogisti Clinici, Edizioni Scientifiche ISFAR Firenze, n.26/2012).