La sindrome embrio-feto-alcoolica

di Diana Cresti, Sergio Gaiffi

 

Sin dai tempi antichissimi erano conosciuti gli effet­ti che l’alcool assunto in gravidanza in dosi ecces­sive, determinava nella prole. La mitologia greca dice che Vulcano, il fabbro degli dei, era zoppo per­ché concepito in stato di ubriachezza da Giove, mentre Plutarco ammoniva: « Un ubriaco ne gene­ra un altro » e Aristotele affermava: « Nella maggior parte dei casi una donna ubriaca da figli simili a lei ». A Cartagine un editto del 398 imponeva alle giova­ni coppie la castità nei primi tre giorni del matrimo­nio; tale usanza era ancora in vigore sotto forma di norma religiosa, fino a pochi anni fa, nei paesi ad elevate abitudini alcooliche.

A Sparta, Licurgo emanava un editto che proscriveva l’uso del vino alla coppia il giorno del matrimonio.

Nel Vecchio Testamento, a proposito della nascita di Sansone, è scritto: …. tu concepirai e partorirai un figlio. Però guardati dal bere vino o bevande fer­mentate… » (Libro dei Giudici, 13:4).

In Inghilterra, durante « l’epidemia del gin» (1720/ 1750) si diffuse l’opinione che l’alcool-dipendenza potesse essere familiare ed ereditaria (si parlava di bambini deboli, molli e disturbati).

Benjamin Rush, medico del XVIII secolo, mise in guardia quanti consigliavano l’uso del vino in gra­vidanza.

Egli ipotizzò che la dipendenza alcoolica potesse essere familiare ed ereditaria. Nel 1834, in Inghilterra, venne costituito un comitato per fare un resoconto alla nazione sugli effetti dell’ubriachezza. Il dottor Dobbing, membro del comitato, riferiva al­la Camera dei Comuni: « da madri ubriache nasco­no figli denutriti, irritabili, malformati».

Pedagoghi del XIX Secolo ammonivano contro il consumo di alcool in gravidanza. Infine, l’osserva­zione empirica popolare aveva individuato l’impor­tanza del grado di alcoolemia ai momento del concepimento: i subnormali, gli scemi del villaggio, venivano chiamati i « figli della domenica » quelli cioè, generati fra i fumi del vino e dell’assenzio. Lo studio scientifico del danno embrio-fetale alcool-indotto risale però al 1968, anno in cui Lemoine a Nantes (Francia), descrive in 25 su 27 figli di un gruppo di donne alcooindipendenti una serie di al­terazioni che ritiene « alcool-correlate », precisamen­te le stesse che più avanti riscontreranno i ricercatori di Seattle.

Alle sue osservazioni non viene dato credito e la sin­drome rimane sconosciuta. Nel 1972 a Seattle (Washington), Ulleland nota che 19 figli di alcool-dipen-denti tendono ad avere una crescita deficiente e scarso sviluppo. Sempre a Seattle, nel 1973, Jones, Smith, Ulleland e Streissguth descrivono comple­tamente una sindrome che chiameranno alcool-fetale (F.A.S. cioè Fetal Alcohol Syndrome) in 8 gli di alcool-dipendenti donne, segnando l’inizio di quella che possiamo definire una « riscoperta ». Nel 1975 si hanno le prime segnalazioni in Italia, quando Ldodice e coll. descrivono studi clinici. Nel 1976 la sindrome viene unanimamente ricono­sciuta come grave e soprattutto prevenibile. Nella sola regione di Seattle vengono ben presto identificati 44 casi; numerosi ne vengono rilevati an­che nelle maggiori città dell’Est degli Stati Uniti. Ben presto ne vengono segnalati in Canada, Inghil­terra, Germania e Svizzera.

Ciononostante molti medici continueranno ad igno­rare tale grave realtà, in quanto non descritta nei tradizionali trattati di medicina, benché studi clinici ed epidemiologici, nonché studi sperimentali sugli animali abbiano confermato l’evidenza di un rischio embrio-fetale alcool-correlato e dose-correlato (da Avogaro e Gallimberti, 1982 e Giusti, 1985). Spesso la sindrome si manifesta nei nati da donne fortemente alcoolizzate, anche se in questi casi non sono rare concomitanze di abuso di fumo e di droghe, nonché malnutrizione.

Non per nulla, l’incidenza nelle donne appartenen­ti a classi sociali a reddito medio-basso è sembrata più elevata anche in rapporto con gestazioni che possono svilupparsi in modo più sfavorevole. Così, almeno sino agli inizi degli anni ‘80 che vedono la comparsa dell’intellettualizzazione e della internazionalizzazione del bere, ovvero il « social drink » o « alcoolismo mondano », che ha sostituito al vino, i vari wisky, gin, brandy, aperitivi, cocktail, amari, ecc. Nella letteratura, i dati riportati da AA. americani riferiscono un’incidenza dell’l-2% dei nati vivi se si considera la sindrome con le Sue tipiche anomalie, ma essa sale al 3-5% se si considerano

le espressioni parziali de a sindrome.

Gli AA. svedesi riportano dati simili a quelli ameri­cani e quindi un’incidenza variabile da. 1:200 a 1:600 nati vivi.

In Francia si aggira sul 2-3% dei nati nelle regioni del Nord, mentre in tutta la nazione è di circa 1:300 nati vivi.

Anche in Italia si registra una variabilità nell’incidenza della sindrome, dovuta al diverso consumo di al­cool nelle varie regioni, ma essa non è ancora stata stabilita con certezza, sia a causa della relativa no­vità dell’argomento, sia a causa dei tabù che si ac­compagnano alla parola « alcool ». Si può comunque ipotizzare che la frequenza della sindrome sia analoga se non addirittura superiore a quella degli altri paesi europei.

I motivi per cui in Italia non si conosce la reale inci­denza di tale quadro patologico sono vari e complessi:

  • difficoltà del riconoscimento clinico della sindro­me, particolarmente in età precoce ed in espres­sioni parziali;
  • emarginazione e stigmatizzazione degli alcoolisti (questo fa si che l’uso di alcoolici in gravidan­za venga generalmente negato o minimizzato dalla madre e solo successivamente ammesso dai parenti);
  • concomitante uso di tabacco e di droga;
  • condi­zioni socio-economiche disagiate; padre alcoolista o ignoto;
  • variabilità dell’espressione della sindrome (ca­ratteristiche maggiori o minori) che crea confu­sione nei termini di paragone.
  • A questo punto riteniamo opportuno riportare qui di seguito una breve rassegna di alcuni segni e sin­tomi di maggior rilievo nella F.A.S., divisi per gruppi:

Crescita e performance

  • deficienze relative all’accrescimento prenatale, che riguardano più lo sviluppo in altezza che quello in peso;
  • microcefalia concomitante anche quando essa sia corretta dal minore sviluppo in peso ed altezza;
  • deficiente accrescimento post-natale sia in pe­so che in altezza;
  • ritardato sviluppo intellettivo e/o deficienza men­tale;
  • alterazioni della motricità fine (scarsa coordi­nazione);
  • alterazioni del ritmo del sonno.

Testa e faccia

  • microcefalia;
  • rime palpebrali brevi (fessure palpebrali ristrette);
  • ipoplasia del massiccio cranio-facciale (mascellare);
  • appiattimento ed allungamento della parte me­diana del labbro superiore (philtrum) associata a bordi delle labbra sottili, ristrette e di color ver­miglio (altamente specifico di F.A.S.);
  • naso e sella (appiattimento, con narici corte o ingrossate);
  • micrognanzia o relativo prognatismo;
  • pieghe epicantali;
  • anomalie minori a carico dell’orecchio compre­sa una minore percezione acustica;
  • meno frequenti: diametro bi-frontale corto, ptosi oculare, strabismo, miopia, ipertelorismo, palatoschisi, bocca ampia, orecchie prominenti e zona perioculare glabra.

Arti

  • anormalità delle pliche palmari delle mani;
  • anomalie minori a carico delle articolazioni;
  • sindattilia (dita delle mani o dei piedi saldate tra loro)
  • clinodattilia (curvatura anormale delle dita delle mani o dei piedi);
  • camptodattilia (una o più dita costantemente flesse ed una o più falangi unite);
  • meno frequente: displasia dell’anca.
  • Cuore
  • difetti al seno atriale e ventricolare o difetti valvolari.

 

Cervello

  • assenza del corpo calloso;
  • idrocefalo;
  • anomalie nella migrazione delle cellule cerebrali.

Altri

  • anomalie minori a carico dei genitali (ipospadie, criptorchidismo);
  • angiomi infantili;
  • irsutismo;
  • malformazioni del rene e delle vie urinarie;
  • malformazioni toraciche tipo petto excavatum, sterno carenato.

Rifacendosi alla vecchia impostazione nosografica della psichiatria infantile, le alterazioni fenotipiche sopra citate rientrano nella cosiddetta « costituzio­ne neuropsicopatica infantile ».

Nel neonato il riconoscimento del quadro è spes­so estremamente difficile; in presenza di un’ana­mnesi positiva è assolutamente necessario seguire la crescita post-natale per formulare una diagnosi corretta.

È infatti molto raro che la sindrome abbia tutte le caratteristiche precedentemente illustrate. I bambini affetti da F.A.S. appaiono costituzionalmente piccoli e poco può essere fatto per incrementare l’accrescimento.

Il tessuto adiposo è caratteristicamente molto scar­so e i muscoli sono sottili. Con il passare degli anni tali bambini continuano a presentare dei disturbi che si manifestano ad esempio con uno scarso incremento ponderale in rapporto all’altezza.

Di solito tale accrescimento appare di un terzo in­feriore alla norma. Anche nell’infanzia e nell’adole­scenza questi bambini, pur migliorando nel complesso il quadro patologico, conservano un aspet­to gracile e malaticcio.

Dalla letteratura risulta che oltre il 60% dei pazienti esaminati ha un Q.I. inferiore alla media di almeno 2 deviazioni standard; rarissimi sono i bambini de-scritti con intelligenza normale.

Il lungo periodo di maturazione del S.N.C. durante tutta la gravidanza è uno dei fattori che condizio­nano la gravità del danno. L’organicità del ritardo mentale è confermata dal mancato recupero intellettivo con la modificazione delle condizione fami­liare sociali. Ciò ovviamente non nega che fattori arabiche ali negativi possono aggravare la situazio­ne del bambino, i suoi deficit comportamentali e cognitivi.

Esiste poi una correlazione diretta tra entità, delle «iterazioni fisiche e compromissione mentale: tanto più evidenti sono i disformismi facciali, tanto più gra­ve la compromissione mentale. Non è tuttavia ra­ro che quest’ultima possa essere presente anche in assenza dei segni clinici descritti.

Tra le manifestazioni a carico del sistema nervoso possono essere incluse anche quelle dovute all’astinenza alcoolica che si viene a verificare dopo la nascita se la madre ha fatto consumo di alcool fino a quel momento.

il comportamento del neonato in astinenza è tipi­co: persistente irritabilità, stato di allerta, ridotte ore di sonno, pianti acuti e improvvisi; non riesce a con-solarsi nemmeno con l’alimentazione e dopo pochi atti di suzione rifiuta il latte; in pieno stato di veglia compaiono tremori grossolani, ad ampio raggio, a scosse rapidissime.

Le manifestazioni da astinenza persistono a lungo tempo e seno poi seguite da anomalie del comportamento che rispondono in maniera variabile ai se­dativi.

La diversa espressività della sindrome è influenzata dall’epoca della gravidanza in cui è avvenuto l’a­buso di alcool, essendo più gravi i danni riportati nel periodo dell’organogenesi, mentre nelle epoche successive si ha solo un ritardo dell’accrescimento intrauterino. Grande importanza rivestono poi altri parametri quali la durata dell’assunzione di alcool e la quantità introdotta.

Per quanto riguarda il sesso del neonato, la mag­gior parte degli AA. americani ed europei afferma che non c’è differenza significativa fra i due sessi. Sembra che le alterazioni morfologiche cella sindro­me si costituiscano nelle prime undici settimane ci vita intrauterina, mentre il ritardo di crescita e il de­ficit di « performance » in generale sono probabil­mente dovuti al persistere della noxa patogena in periodo ferale.

Sono state anche descritte varianti meno gravi dei-la sindrome, fino alla forma più sfumata riconosci­bile soltanto in età scoiare perché caratterizzata dal cosiddetto « danno cerebrale minimo » (M.B.D. = Minimal Brain Damage) che si configura in deficit dell’apprendimento, difficoltà nella concentrazione, ipereccitabilità, alterata espressività verbale e/o af­fettiva.

Per concludere, riportiamo la seguente statistica: Anomalie congenite sono state trovate nel:

  • 32% di figli di forti bevitrici;
  • 14% di figli di moderate bevitrici;
  • 9% di figli di lievi bevitrici o astemie;

se a queste si asso6iano anormalità di tipo neuro. logico, si ha:

  • 71% di figli di forti bevitrici;
  • 36% di figli di moderate bevitrici;
  • 35% di figli di lievi bevitrici o astemie.

Dati che si commentano da soli.

(in Rivista L’Insegnante Specializzato 3/91)