di Maria Teresa Rizzarelli
“La solitudine ti fa ascoltare l’anima e spegnere le luci finte” (R.Morelli)
La solitudine fa parte del processo di crescita dell’essere umano, quando nei diversi periodi dell’esistenza gli si presentano nuove situazioni e transizioni del ciclo di vita familiare da affrontare con consapevolezza e coscienza. La solitudine ha molti volti. L’epoca in cui viviamo associa automaticamente la solitudine all’isolamento; si ha paura del vuoto, stare da soli spaventa ed essa assume un significato negativo. Ma questo non significa che la solitudine sia una condizione negativa, anzi. Questo stato d’animo, che così facilmente evoca i tormenti dell’abbandono e del rifiuto, ha anche un altro volto che porta a significati più ampi, legati ad una condizione costruttiva in cui siamo perfettamente pieni di noi, in quanto “essere solo” non significa che ci manca qualcosa, stare soli ci ricorda chi siamo, vuol dire saper cogliere la straordinaria forza della solitudine che ci completa….Le strade per vivere bene la solitudine sono molte, e ognuno deve trovare la propria. Anche in coppia si ha bisogno di momenti di distacco e separazione come respiri emotivi per rafforzare il legame….è quel tempo dedicato a noi che ci rende più consapevoli e più forti per interagire con gli altri, può essere un impegno per interrogarsi, per ascoltarsi, anche un ritorno alle proprie emozioni. Avere le risorse e la capacità di utilizzare in modo costruttivo questa dimensione, è uno straordinario punto di forza. In merito al significato della solitudine nell’ambito dell’esperienza adottiva, farò alcune considerazioni di carattere generale, che sento utili e necessarie per capire che cos’è la realtà dell’adozione, frutto dell’esperienza mia e di altri, che spero possano rappresentare degli spunti, delle riflessioni, ma anche degli interrogativi. L’adozione non è un evento puntuale ma un progetto di vita all’interno del quale la gestione di temi complessi come l’abbandono ed il confronto con il passato, la costruzione di una equilibrata identità etnica e la presenza di traumi specifici, la doppia appartenenza per il bambino, la ferita della mancata procreazione e la paura del fallimento per la coppia genitoriale, si propone e ripropone lungo tutto l’arco della vita. L’adozione consiste nel far diventare l’estraneo familiare, riconoscendone la sua diversità. I bisogni di una famiglia adottiva non sono statici e si evolvono nel tempo, con sfide diverse nei diversi momenti della vita della famiglia.
La costruzione del legame genitoriale è un processo che avviene nel tempo ed il compito evolutivo che genitori e figli devono affrontare si può sintetizzare nel “portare avanti la storia delle generazioni facendo diventare familiare un’origine diversa”. Ai genitori adottivi è richiesta una capacità di accoglienza e di cura delle ferite profonde del proprio figlio, portatore di un irrinunciabile vissuto con il quale i genitori dovranno costantemente misurarsi. Molti luoghi comuni e pregiudizi ruotano attorno all’istituto dell’adozione. Il nodo critico sta nel saper distinguere l’adozione da concetti di “buona azione”, di “atto di generosità”: in realtà l’adozione nasce da una scelta di consapevole desiderio di una coppia di essere disponibile a diventare genitori di bambini che vivono in stato di abbandono e che per questo hanno bisogno di una famiglia che si prenda cura di loro, dando loro “nutrimento” affettivo. E’ forte l’esigenza dei potenziali genitori di confrontarsi con altre famiglie diventate “adottive”, così viene offerta, durante i nostri incontri di preparazione/formazione per gruppi di coppie aspiranti all’adozione, l’opportunità di scambio e confronto con famiglie che hanno già maturato l’esperienza adottiva, ponendo particolare attenzione al rispetto dei diritti umani e della diversità culturale, alle riflessioni e autovalutazione sulla consapevolezza di accettare la “diversità”. Con l’adozione le differenze entrano nella dimensione famigliare, nel quotidiano, nell’inserimento scolastico, caratterizzano la fisionomia della famiglia adottiva diventata multiculturale e questo pone dubbi di non facile soluzione. Pone ombre e luci nel senso di solitudine che è spesso avvertita. Dobbiamo tener presente che la maggior parte degli aspiranti genitori adottivi ha fatto un cammino lungo, faticoso, deludente rispetto alla possibilità di avere figli. Chiaramente tutto questo crea nella coppia ansia e senso di scoramento. Spesso i colloqui sono avvertiti dalla coppia non come occasione trasformativa e di crescita che può scaturire da un clima empatico, di collaborazione, di fiducia reciproca e ascolto offerto da operatori adeguatamente formati, ma come il rischio di veder affermato ancora una volta il divieto procreativo. Se il percorso è affrontato correttamente può, in realtà, costituire un’importantissima occasione di crescita e maturazione individuale e di coppia. L’accompagnamento della coppia, anche durante la fase valutativa, contrasta il senso di solitudine e di impotenza che spesso pervade. In questa fase vengono riscontrate le potenzialità, ossia le opportunità di crescita della coppia per aiutarla a giungere ad una scelta consapevole, alla maturazione delle competenze relative alle peculiarità della genitorialità adottiva. Ciò comporta anche una verifica sulle loro aspettative e risorse e che la loro disponibilità sia veramente avvenuta ad un livello profondo; il rischio, infatti, è che le coppie accettino determinate caratteristiche dei bambini distanti dalla loro reale disponibilità, per accorciare l’attesa e realizzare il loro bisogno di genitorialità. Nell’ambito del percorso adottivo il cosiddetto tempo dell’attesa, ad esempio, indica il periodo vissuto dalle coppie dal momento in cui hanno ricevuto l’idoneità dal Tribunale per i Minorenni fino al momento dell’eventuale arrivo del bambino. Le coppie frequentemente vivono questo tempo con un acuto senso di solitudine esprimendo un vissuto d’abbandono che inconsapevolmente le porta ad identificarsi con il bambino che attendono. Nel contempo questo periodo può costituire una grande opportunità per riflettere e approfondire il lavoro di preparazione al futuro impegno di genitore e all’incontro con il bambino. E’ dunque opportuno contrastare il senso di solitudine della coppia, offrendo un contesto di confronto e contenimento delle emozioni connesse all’attesa, facilitando lo scambio di riflessioni e strategie operative per un maggior sostegno reciproco nella coppia, allo scopo di favorire la costruzione di nuovi significati relativamente alla scelta adottiva. È vero che le coppie aspettano, ma è anche vero che, soprattutto, sono i bambini in attesa di essere figli. È, dunque, sul bambino in attesa tra paure, solitudine e aspettative, che vorrei soffermarmi. La necessità primaria per un bambino adottato è di sentirsi accolto. Il bambino in attesa ha un vissuto di dolore e sofferenze, prova sentimenti contrastanti, a un lato sente il bisogno di affidarsi di nuovo ad un adulto che sia capace di amarlo e accudirlo, dall’altro teme di essere nuovamente tradito. L’abbandono della madre, infatti, può far insorgere angosce molto intense e sensazioni di frammentazione per lo sfumarsi di ogni confine. Nella vita di un bambino che ha già vissuto la separazione in modo traumatico, anche l’adozione è un cambiamento che rappresenta nel contempo una perdita ed un attaccamento. Nel bambino adottivo la memoria del passato suscita l’angoscia dell’antica perdita che, se non viene accettata ed elaborata dentro sé e nella relazione familiare, tende a “congelare” la mente non predisponendola al cambiamento verso la conoscenza. Un passato troppo doloroso per essere contenuto dentro sé, è impossibile rievocarlo per disturbi della memoria; l’incapacità di piangere per una contusione o una ferita, ad esempio, fa pure parte dello stesso aspetto; per evitare la sensazione di non essere degni di essere amati questi bambini cercheranno di compensare con l’isolamento, evitando i nuovi legami per non rischiare di ritrovarsi soli e terrorizzati un’altra volta…. per non provare un nuovo ed intollerabile dolore.
In ogni bambino adottato c’è un “prima” e un “dopo” e tra questi il ponte è l’adozione. Sono bambini che provengono da un “altrove”, anche lontano, e che arrivando in famiglia e, in particolare, in Italia, si trovano catapultati in un mondo differente e spaventoso; parlano un’altra lingua e molte volte non sanno cosa sia la scuola o un libro. I bambini adottati sono bambini confusi, intimoriti, spesso introversi, a volte apparentemente spavaldi, irrequieti, in loro convivono più età. In ogni caso nella loro vita ci sono due madri, due famiglie, possono avere un passato costellato da traumi, possono avere vissuto per anni in un istituto, o in molteplici istituti, possono provenire da più separazioni e da fallimenti adottivi. A volte i bambini non sono in grado di dare un nome ai propri stati d’animo e li affidano ai loro genitori “mettendoglieli dentro”, cioè provocando in loro emozioni simili. Così, un bambino che si sente rifiutato potrà far sentire il genitore rifiutato, un bambino che si sente arrabbiato potrà provocare nel genitore rabbia e così via. Intorno al bambino va creato un clima di apertura, di rispetto, di crescita in pari dignità, di riconoscimento, mettendosi per un po’ nei panni degli altri per cercare di vedere le cose da punti di vista differenti.. E’ importante garantire a tutti la possibilità di essere uguali e diversi , di “sentirsi parte “ e dunque, non solo di “fare parte”. Le ricerche ci dicono che i fattori di rischio sono molteplici e contemporaneamente presenti. Per quanto concerne i bambini, il fattore di rischio maggiore è la precocità e molteplicità di esperienze traumatiche. Per le coppie il fattore di rischio maggiormente rilevato è l’isolamento oltre che elementi di rigidità e difficoltà nel gestire e tollerare le differenze tra bambino reale e bambino ideale. E’ indubbio che le esperienze svantaggiose e/o traumatiche vissute da un bambino rappresentano un fattore di rischio per la sua crescita psico-sociale, ma gli studi sulla “resilienza” dimostrano, anche, quanto la maggioranza di coloro che sono reduci da tali esperienze sfavorevoli riescono a raggiungere un equilibrio ed un funzionamento adeguati. Per questo motivo, unitamente a una visione complessa e giustamente problematica dell’adozione, è importante sostenere il concetto che la crescita di un figlio adottato è un’esperienza possibile e con una buona probabilità di avere successo. L’incontro è uno dei momenti più intensi dell’adozione sia per il bambino che per i genitori, in cui si pongono le basi per la costruzione del legame di attaccamento. Le emozioni sono tante, anche contrastanti: tanta gioia, ma anche timore, paura, incertezza su di sé, sul bambino, sul futuro. Il momento dell’incontro apre a trasformazioni complesse che attivano una “rivoluzione relazionale”, nonostante la preparazione, la consapevolezza, la motivazione: è un momento delicato del ciclo di vita della famiglia adottiva, in cui avviene un profondo cambiamento nell’immagine personale, di coppia, di famiglia. In un momento cambia l’universo delle relazioni famigliari e ogni persona è chiamata ad assumere un nuovo ruolo, a fianco del precedente: infatti, alla coppia genitoriale permane la coppia, alla percezione di sé come madre o padre, permane l’immagine di donna e uomo. Dopo l’arrivo di un figlio adottivo spesso subentra, nella coppia di genitori, un senso di inadeguatezza, a volte di solitudine, spesso l’emergere delle realtà passate dei figli viene vissuto con un senso di impotenza, non si sa come affrontarle. Rilevante è l’importanza della relazione di coppia che a volte viene trascurata a favore delle funzioni genitoriali. La relazione di coppia va protetta e stimolata in quanto fondamentale per gestire e superare situazioni di forte stress (stress post- adozione e depressione post-adozione). La famiglia va aiutata da noi operatori nella presa di coscienza che essere famiglia adottiva è esserlo a tutti gli effetti, a non sentirsi famiglia di serie B. I genitori si assumono una responsabilità sociale e al tempo stesso anche il sociale ha una responsabilità nei confronti delle famiglie adottive, che non può esaurirsi nel vigile supporto delle fasi iniziali. In questo difficile compito assume una fondamentale importanza che i genitori adottivi possano contare sull’accompagnamento ed il sostegno, adeguato e competente, degli operatori psico-sociali. Le famiglie possono trovarsi, in alcuni momenti a vivere conflitti, turbamenti emotivi, dilemmi e difficoltà, desiderano essere aiutati a capire i reali bisogni dei propri figli, dalle difficoltà di inserimento agli eventuali problemi di apprendimento, relazionali o comportamentali, aiutati anche ad affrontare la fase cruciale dell’adolescenza, oppure a capire i motivi che inducono il figlio a mettere in atto comportamenti aggressivi o disfunzionali. Proprio per questi motivi le famiglie adottive hanno sempre di più la necessità di avere un luogo in cui confrontarsi e raccontare le proprie esperienze, per trovare la condivisione di altre famiglie adottive e la presenza di professionisti che sappiano ascoltare e restituire significati a chi chiede aiuto. Abbiamo prospettato così alle coppie la partecipazione al gruppo di sostegno per i genitori presso il nostro Ufficio Adozioni del Comune di Catania. Si tratta di un percorso di sostegno post-adottivo gratuito, libero e costante nel tempo, che si realizza attraverso un gruppo di auto-aiuto coadiuvato da noi operatori esperti di adozione. Il presupposto da cui il progetto è partito è che problema e soluzione possano trovarsi all’interno di ciascuno. È un progetto di accompagnamento per famiglie adottive con l’obiettivo di attivare processi di empowerment, di favorire la loro autonoma capacità di affrontare le difficoltà e di costruire forme di aiuto reciproco per avviare percorsi motivazionali che permettano di sviluppare competenze emotive, sociali, di autonomia. L’attività si sviluppa in una prospettiva teorica e operativa basata sulla resilienza per valorizzare le risorse e le potenzialità di cambiamento di ciascuna persona. Gli incontri, così, rappresentano un’occasione di ascolto delle esperienze altrui, di confronto comune su tante questioni sorte dall’esperienza concreta, di riflessione sugli aspetti maggiormente problematici dell’essere genitori, in particolare di bambini adottivi, con l’obiettivo di promuovere, attraverso il gruppo, la condivisione di esperienze utili anche ai fini della ricerca di soluzione ai problemi, arginando il senso di solitudine spesso provato… Nel confronto con i nodi critici delle dinamiche relazionali del post-adozione, è nata la richiesta prioritaria di affrontare le problematiche connesse al mondo della scuola. L’inserimento scolastico del bambino adottato è un’esperienza chiave per la sua formazione personale e sociale, in cui giocano un ruolo significativo anche le dinamiche emotive legate alle aspettative dei genitori. La scuola rappresenta un’agenzia educativa fondamentale nell’inserimento di un bambino adottato. In ogni caso, si ritiene che il momento dell’inserimento a scuola avvenga dopo un periodo congruo dall’arrivo del bambino e comunque nel rispetto delle caratteristiche e dei bisogni di ogni bambino. Una scuola non preparata ad accogliere in maniera corretta il bambino adottato con percorsi didattici volti a evitare l’emarginazione, è una scuola che viene vissuta e percepita come luogo di disagio. Noi prepariamo la famiglia a non vivere l’insuccesso scolastico con ansia e apprensione. L’equazione riuscita scolastica = riuscita dell’adozione è spesso presente nella famiglia adottiva. I genitori dovranno prepararsi al fatto che il bambino potrà avere difficoltà di apprendimento, soprattutto se ha un passato difficile. I programmi, gli argomenti da svolgere dovrebbero tener conto degli alunni e della loro condizione, della loro sensibilità e delle loro difficoltà. L’adozione è una diversità fra le diversità. Quando le coppie raccontano le loro storie, raccontano le vicissitudini, esprimono le proprie ansie e difficoltà certi di poter essere ascoltati e compresi da chi ha situazioni, emozioni, problemi e vissuti simili, in cui ognuno si confronta con differenti punti di vista, tuttavia, nel ritrovarsi insieme, entra in funzione la consapevolezza che la famiglia c’è, con diversi problemi. Si sa che non si è soli perché altri hanno attraversato la stessa solitudine, le stesse paure, le stesse difficoltà per poi rendersi conto che essendo famiglia adottiva, e più delle altre una famiglia in continuo divenire, ha in quanto tale un compito rilevante e che si dispiega nel tempo: accogliere quei frammenti della personalità in cui permane il vissuto traumatico per favorirne il risanamento e la trasformazione e far diventare la solitudine una famiglia. Il rapporto tra coppia adottiva e Servizi psico-sociali deve essere inteso come un percorso pensato proprio alla luce dell’obiettivo di evitare la crisi e il fallimento del progetto adottivo, sin dalla fase della preparazione /formazione alla genitorialità per poi passare attraverso la fase della valutazione dell’idoneità e, quindi, il sostegno post adottivo. Il ruolo delle Istituzioni nel processo adottivo è decisamente delicato. Esiste un senso di “solitudine” avvertito anche da noi operatori nei momenti critici del processo adottivo. Cerchiamo di arginare le incertezze, i dubbi con le risorse del lavoro di confronto e verifica tra noi dell’Equipe Adozioni -assistente sociale e psicologo- coinvolgendo, eventualmente, anche altri operatori che si occupano di tale istituto, per affrontare e superare aspetti di inevitabile complessità. Qualsiasi momento va progettato come strumento per attivare e valorizzare potenzialità e risorse, per arginare l’eventuale senso di solitudine ed evitare i fallimenti.
Solo così ogni bambino che porta in sé la ferita dell’abbandono e che ha diritto a trovare nella risorsa famiglia amore, accoglienza e solidarietà affettiva senza confini, può soddisfare il bisogno di appartenere finalmente a qualcuno che, con una vicinanza fisica rassicurante, è in grado di fargli ritrovare, riconoscendo e accogliendo aspetti della sua storia e delle sue origini, la continuità della sua esistenza, fra passato e presente, per riattivare il suo sano processo di crescita.
(in Rivista Pedagogia Clinica-Pedagogisti Clinici, Edizioni Scientifiche ISFAR Firenze, n. 36/2017)