di Elisa Pavoni
Da oltre sei anni è entrata in vigore la legge 54/2006 (Affido condiviso) che riconosce ai figli il diritto indisponibile di frequentare equilibratamente i due genitori e di essere educati e accuditi da entrambi.
Come professionista che opera in sinergia con gli studi legali nell’ambito delle separazioni e divorzi, ho potuto costatare, nella maggior parte delle situazioni incontrate, il permanere di un genitore in una posizione dominante. Il genitore “collocatario”, presso il quale è domiciliato il minore, è investito degli stessi poteri e doveri che prima aveva il genitore affidatario esclusivo. Nei fatti, viene a mancare, pertanto quella simmetria educativa indispensabile per costruire un equilibrio nel nuovo assetto familiare e il conseguente benessere dei figli. In buona sostanza, uno dei due genitori, vivendo con il proprio figlio /figli diventa il punto di riferimento permanente, assumendo concretamente delle decisioni, assolvendo compiti e cure in modo prioritario. Il genitore che non abita con il figlio, di quali spazi educativi dispone per esercitare in modo paritario la sua funzione genitoriale? Per la mia esperienza, non è sempre vero che il genitore non collocatario, si deresponsabilizza rispetto alla suo ruolo genitoriale, piuttosto, si può asserire che gli spazi di educazione e accudimento limitati rendono meno fluido e incisivo l’agire quotidiano del suo ruolo genitoriale. A tal proposito si sottolinea che il vissuto dei genitori non collocatari è spesso caratterizzato da sentimenti di impotenza, frustrazione e vulnerabilità. L’impotenza può generare rabbia e accentuare eventuali conflitti già esistenti nella coppia genitoriale. Sicuramente questo non è auspicabile. Ma come realizzare sul piano concreto della quotidianità il concetto di bigenitorialità indicato dall’affido condiviso?
Gli avvocati sono i primi a dover fare i conti con questo interrogativo e a tentare di rispondere, spesso addentrandosi in ambiti pedagogici e psicologici che richiedono formazione e strumenti specifici.
Due le ordinanze dei Giudici in linea con la reale finalità dell’Affido condiviso. Una a Trieste, del 28/02/2012 e l’altra a Firenze , del 4/042012. In sintesi l’ordinanza di Trieste ha assegnato in via provvisoria e urgente la collocazione del minore presso l’abitazione di proprietà di entrambi i genitori, i quali si alternano settimanalmente nella funzione di genitore collocatario con l’eventuale supporto di altri familiari. L’ordinanza di Firenze ha stabilito la domiciliazione del minore adolescente presso entrambi i genitori. In entrambe le ordinanze emerge una volontà di favorire un equilibrio nei sottosistemi relazionali familiari (padre-figlio/ madre-figlio/ padre-madre e sottosistema delle parentele) conseguenti alla separazione al solo fine di tutelare il benessere dei figli. Ma l’equilibrio non è “dato”, si conquista continuamente, work in progress , una volta raggiunto si può facilmente perdere, non può essere raggiunto attraverso una formula applicabile in tutte le situazioni. Ogni situazione è a sé. È necessario acquisire gli strumenti per conquistarlo e riconquistarlo. Chi può dare ai genitori gli strumenti per costruire il proprio equilibrio nel nuovo assetto familiare? La legge ha già fornito delle indicazioni specifiche di riferimento, si tratta ora di renderle percorribili praticamente. Questa seconda finalità si realizza, dal mio punto di vista, attraverso la realizzazione e la messa in opera del progetto educativo condiviso. Nel mio percorso professionale, in qualità di Pedagogista Clinico® ho riscontrato più volte che sollecitando nella coppia genitoriale un’auto-riflessione sugli aspetti educativi progettuali e valorizzando al massimo i contenuti emersi, si educa la coppia separata o in via di separazione, a disinvestire gradualmente dal ruolo coniugale disfunzionale, ridimensionando e limitando i conseguenti conflitti . Attraverso un percorso specificatamente educativo, la coppia genitoriale, è sollecitata a riaprire i canali della comunicazione per elaborare un progetto relazionale e genitoriale condiviso, rispettoso dei bisogni di tutti i componenti del sistema familiare. La messa in opera della progettazione è la traduzione prassica dei contenuti emersi dalla stessa.
Tale percorso si configura in un setting ben preciso di incontri, ognuno dei quali con strumenti e fini precisi. Il numero degli incontri varia in base alle particolarità delle situazioni da affrontare, ma la media può oscillare da sei a dodici incontri, distribuiti in un arco di tempo variabile da tre mesi un anno. In questo periodo è richiesta la sospensione momentanea del procedimento giuridico oppure, come sarebbe auspicabile, la collaborazione delle figure legali con il Pedagogista Clinico per orientare la coppia genitoriale a percorrere la strada della riflessione squisitamente educativa. Non si tratta, per l’avvocato, né di individuare problemi di coppia, né di consigliare percorsi terapeutici, ma semplicemente di suggerire alla coppia genitoriale uno spazio di riflessione educativa in via prioritaria. Così facendo l’avvocato, svolge un’opera di prevenzione dei conflitti e quindi delle liti giudiziarie, oltre che focalizzare l’attenzione dei genitori sulle loro reciproche responsabilità educative in accordo con i nuovi orientamenti legislativi.
Il risultato concreto dell’itinerario educativo intrapreso dalla coppia genitoriale è la stesura del progetto educativo condiviso: le scelte relazionali-educative e gli accordi raggiunti da usare sia come promemoria sia come traccia da “convertire in forma legale” a cura delle figure professionali competenti.
Il percorso educativo prevede anche momenti di incontro della coppia genitoriale con il Pedagogista Clinico dopo alcune settimane dalla stesura del Progetto Educativo Condiviso per valutare in itinere la scelte e le decisioni intraprese ed eventualmente operare modifiche al progetto stesso compatibilmente e in accordo con le norme di diritto sostanziale e procedurale.
(in Rivista Pedagogia Clinica-Pedagogisti Clinici, Edizioni Scientifiche ISFAR Firenze, n.26/2013).