Ogni disciplina scientifica al fine di determinare con la massima esattezza possibile i fenomeni che rientrano nell’ambito del suo settore particolare, oltre a creare un lessico di termini tecnici con significati specifici, ha la necessità di soffermarsi su quelli già esistenti per rilevarne oltre che le congruenze, le inadeguatezze così da smascherare la confusione intellettuale, indispensabile per fare chiarezza ed evitare la possibile incidenza negativa sull’accezione di autonomia. La lingua si identifica sempre col patrimonio culturale, perciò in presenza di una recente disciplina ben si giustificano la scelta e la spiegazione di alcune voci al fine di caratterizzare e dare fisionomia ai principi per renderli chiari nel loro diverso impiego. (Dizionario di Pedagogia Clinica in Collana delle Professioni, Edizioni Scientifiche ISFAR Firenze).
Non essendo limitato ad una letteratura specifica, il Pedagogista Clinico®, alimentato da coesi contenuti umanistici e scientifici, si trova e si esprime con nuovi concetti elaborati per sfidare i vecchi e perciò deve scegliere, fra quelli in uso, i vocaboli da utilizzare e quelli da evitare. Vi sono lemmi nuovi o riadattati in obbedienza a un criterio, scientificamente fondato, che consente di evitare il pressappochismo del buon senso, dell’orecchiato, del semplice sentito dire, per un necessario solido quadro concettuale di riferimento che garantisce una base teorica e metodologica capace di orientare l’azione educativa. Tra i lemmi rifiutati, integrati o rivisitati dalla Pedagogia Clinica ne richiamano qui solo alcuni come esempio inequivocabile sullo stato di progresso di questa scienza. Quando si parla di sviluppo in questa area umanistica si ritiene che esso sia individuale e che la persona sia un continuum e perciò non temporalmente sezionabile, “fase” e “stadio” così come “scala” e “livello” non vengono condivisi poiché utilizzati come strumenti di misura per ordinare secondo una graduatoria fenomeni e dati quantitativi ottenuti da indagini e poi catalogare aspetti settoriali con la pretesa di mettere a confronto quelle tante variabili e sfaccettature così differenti per ciascun individuo. Del pari è evitata la voce “profilo” intesa come rappresentazione schematica di risultati raggiunti da una persona; voce ritenuta troppo rigida, angusta, limitata ad orientare sulla complessità delle difficoltà che essa presenta. La stessa sorte viene riservata a “protocollo”, ovvero a quella scheda divisa in caselle che devono essere riempite con delle crocette a fronte di risposte a domande. Altresì “bilancio” nel senso di “elenco di voci riassuntive sulle abilità dei soggetti sottoposti a esame” che vuole la persona rappresentata da andamenti di curve ascendenti, discendenti o anarchiche a seconda di “prove” superate o non superate, parimenti le “schede di rilevazione” che vengono considerate inutili e dannose poiché una risposta che una persona può dare non può essere riassunta e annotata con dei simboli operazionali + e –, né con dei “vero/falso”, né tantomeno si accoglie il termine “esame” in base al quale “valutare”, gli esami a fini diagnostici richiedono di sottoporre il soggetto a una prova, e in Pedagogia Clinica attenti alle necessità di una persona, si mette in atto un processo di conoscenza fatto per mezzo di una Analisi puntuale e mirata a rilevare gli stati di bisogno, e a rilevare ogni Potenzialità, Abilità e Disponibilità, il Pedagogista Clinico® sa bene come effettuare tale conoscenza, certamente senza angherie e senza “propinare” prove a nessuno. Egli non interviene in aiuto alla persona lavorando sui numeri, né sulle quantità con cui essa è stata codificata, non la “classifica” in base a “tipologie”, non la riduce a “categorie”, non lavora con lei su noxae, bensì si impegna a conoscere ogni aspetto che la caratterizza e non si ferma a un lemma con cui si attesta il suo “disturbo”, termine anche questo, nonostante sia gradito e usato dai pedagogisti, forse perché li fa sentire molto psicologi e medici, è rifiutato dai pedagogisti clinici, così come “trattamento” – che sta per cura e terapia – non fa parte del lemmario della Pedagogia Clinica né ancor meno “trattamento riabilitativo”, che deve essere lasciato per competenza agli psicologi e ai tecnici della riabilitazione. Il Pedagogista Clinico® orientato dai principi solidi educativi ha a cuore l’unità psicofisica del soggetto e, visto che non è chiamato ad assolvere al ripristino delle “normali funzioni in quanto attività ed efficienza di parti del corpo” non ri-abilita, così come non ritiene che ci possa essere un trasloco temporale nell’intervento educativo, quindi non ri-educa, anche il termine “caso” è negletto dalla Pedagogia Clinica , un essere umano non può essere confuso con un casework, non ci può essere confusione fra persona e “malattia presa in carico”. In tale ottica si comprende anche come voci quali “terapia” e “pratica terapeutica”, “specifica”, “eziologica” o “sintomatica” nel senso di “metodo e cura”, vengano eluse da questo professionista che invece si affida ai principi della Pedagogia Clinica di educazione e globalità. E per questo motivo anche il lemma “esercizio” non viene tenuto in considerazione poiché richiama ad una ripetizione frequente di atti meccanici per cui non è educazione, bensì ammaestramento, non è un vero apprendimento, ma un insegnamento avulso da esperienze. Il Pedagogista Clinico® non condivide neppure la suddivisione di un intervento per “obiettivi”, proprio perché una persona e la sua evoluzione non possono essere suddivise temporalmente. Per esempio, per un soggetto che ha difficoltà logico-matematiche è ovvio che l’”obiettivo generale” sia quello di promuovere le abilità logico-matematiche! Così come gli obiettivi specifici ecc. che determinano ancor più la settorialità dell’intervento.
Tanti riduttivismi a cui il Pedagogista Clinico® si oppone poiché lontani dal criterio educativo e dal principio vygotskiano. Egli non si conforma all’opinione comune che intende risolvere i compiti educativi con una pedagogia patologico-terapeutica, consapevole che non si può tradurre in polarità, in simboli, in misure, in obiettivi inconciliabili un individuo, che invece si situa proprio fra questi valori contrapposti ed è proprio da entrambi rappresentato. Poche voci richiamate ma illuminanti circa le esperienze specifiche di una disciplina che si promuove da quaranta anni e che non ha bisogno di affidarsi a lemmi e metodologie “presi a prestito” da altre professioni. La correttezza, l’onestà e la deontologia professionale sono un patrimonio scientifico sostenuto da propria fisionomia, e i lemmi, sono a prefazione della cultura e della formazione di un professionista capace di dare all’educazione un significato autentico.
Il Comitato Scientifico