È uscito il saggio di Luca Fabbri, denominato Pedagogia Clinica-autenticità di una scienza (Editore Armando, Roma), nato, come dice l’autore, dalla necessità di far riflettere su questa definizione, aiutare a sostare su tale sapienza e nel farlo evidenziare le incongruenze riscontrabili negli scritti di Pedagogia Clinica in testi e nei libri che la annunciano.
L’autore, per facilitare nel lettore la distinzione tra la Pedagogia Clinica e le varie realtà che altri- tentando di realizzare delle copie mal riuscite-definiscono con il termine pedagogia clinica, si è riferito alla prima – ossia la Pedagogia Clinica secondo i suoi attributi di: scienza, sapienza, sapere; ricorrendo, inoltre, al suo simbolo peculiare: . Siffatto logo, che da sempre ha accompagnato la Pedagogia Clinica, è stato l’emblema rappresentativo, sia in quanto segno simbolico che distingue la scienza che come figura caratterizzante la categoria professionale del Pedagogista Clinico®. Un logo greco che ha supportato e sostenuto in ogni momento tale operatività e questa professione.
Un simbolo, dunque, che facilita nel distinguere una storia a sostegno di una scienza da una chiara e forte epistemologia, strutturata sull’elemento educativo, che interviene in aiuto della persona vista in un’ottica globale. Il logo è l’immagine che accompagna graficamente questa scienza in tutte le occorrenze; un segno grafico che è elemento distintivo e identitario. In tutte le altre occasioni in cui si riportano, invece, posizioni e scritti di coloro che utilizzano il termine carente di tutto ciò, si è ricorso a pedagogia clinica priva delle maiuscole e del logo; come d’altronde gli stessi autori fanno nelle loro trattazioni, e non potrebbe essere altrimenti visto che essi si riferiscono non solo a differenti ambiti e principi ma anche a una sostanza totalmente diversa. Realtà altre rispetto alla Pedagogia Clinica in quanto in esse permane – in chiaro distinguo con la scienza fondata dal prof. Guido Pesci – una concezione di persona da ri-educare, ri-abilitare, sottoporre a terapie, guarire, e nelle quali perdura una confusione e giustapposizioni con altre discipline; d’altronde molti di questi stessi studiosi dichiarano che quanto vanno propugnando sia privo di una propria epistemologia e metodologie proprie.
Alla base del presente lavoro c’è stata una ricerca il più possibile attenta, minuziosa rispetto al termine e alla sapienza –la Pedagogia Clinica – oltre che alla figura del Pedagogista Clinico®. Lo spirito che ha animato l’indagine è stato quello di mettere in luce le incongruenze di coloro che scrivono di pedagogia clinica rispetto alla scienza, così da facilitare nel lettore il sostare, riflettere, comprendere, in un percorso di ricerca spiralizzante, l’autenticità della Pedagogia Clinica. Difatti il compito del Pedagogista Clinico®–in distinguo a ciò che prevedono le varie pedagogie cliniche – è quello di agevolare nella persona recuperi di energie e capacità vitali.
La scienza è un patrimonio di ognuno, che tutti possono collaborare a far crescere in quel percorso di tesi, antitesi e sintesi; essa non è inalterabile né immobile bensì in continuo divenire.
Ciò detto, è pur vero che vi sono dei capisaldi immutabili, fondamenta che contraddistinguono questa realtà da altre e che ne sostanziano l’epistemologia. Pertanto le incongruenze che si sono riscontrate rispetto alle ricerche svolte dal prof. Guido Pesci, da ISFAR, dal centro Kromos e dall’Associazione Nazionale Pedagogisti Clinici (ANPEC) vengono presentante in questo saggio con il solo e unico scopo di tentare di far chiarezza a tutela della persona, in rispetto e difesa di quella cura, certi dei successi e della validità scientifica testimoniata dalla ricerca, dalla teoria e dalla pratica realizzata a partire dal 1974.
Evidenziare l’autenticità della Pedagogia Clinica è garanzia per tutta l’umanità che trova in questa scienza una possibilità di aiuto – in campo socio-educativo – concreto e reale, che altrimenti andrebbe disperso. Tutelarne la paternità, l’autenticità, i fondamenti, i metodi, la scientificità, la storicità significa salvaguardare un bene che inequivocabilmente apporta ben-essere certo, se vissuto come esperienza all’interno del suo alveo. Tutto ciò che deborda rischia di vanificare la relazione di aiuto o generare confusioni o commistioni insane con altre discipline. Vi è, infatti, da porre attenzione alla diversità tra l’essere professionisti in rete, di discipline in rapporto dialogico, in quanto partecipi di una visione unitaria e globale della persona, rispetto al cibreo scientifico e delle professioni annichilenti la cura della persona.
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