Pedagogia Clinica, scienza che “non si studia”, ma…

room-2775442_1920 piccolaStudiare significa applicarsi nell’apprendimento di una o più discipline che possono essere apprese con la lettura di libri “sulla materia” o con lezioni frontali, seduti ad ascoltare chi fa lezione.
Inteso così il termine “studiare” richiama ad una condizione statica di apprendimento e ciò non si allinea con il principio della formazione in Pedagogia Clinica  che, lontano da esclusive conoscenze conversate, enunciazioni verbali o tecnicismi puntellati da parole, vuole invece che siano acquisite concrete abilità derivate da un processo dinamico esperienziale che rende capaci ad assolvere un compito elevato di professionalità.
Non “studiare” quindi, ma perseguire una «expertise in action», una preparazione professionale tesa all’assunzione di competenze capaci di soddisfare esigenze attuali ed emergenti, fronteggiare stati e condizioni con interventi utili.
Durante l’esperienza formativa il processo richiede agli allievi di conoscere i  principi che orientano la prassi in un foyer d’études pratiques consentendo loro, per mezzo di adempimenti pratici di acquisire ogni specifico e particolare aspetto che caratterizza i metodi e le tecniche per saperli utilizzare con la massima creatività. Si tratta di partecipare con originalità le esperienze ed apprendere traendo ricchi stimoli poliedrici, adatti a comporre e sollecitare, dare maggiore vitalità e intensità agli intenti, attivare risorse reattive e generare processi di consapevolezza;  è certo che non “si studia”, ma si apprende per esperienza diretta.
Per formazione in Pedagogia Clinica si intende quindi un processo complesso in cui vengono intessuti negli allievi contenuti culturali, metodologie e strategie che, realizzate in una condizione corale e dinamica, conducono in un percorso di rilettura dei propri stati attivi e reattivi affinché siano preparati a svolgere interventi di aiuto idonei a strutturare in una persona una mutata conoscenza e consapevolezza, un riequilibrio della sfera emotiva e degli atteggiamenti, e una vittoria sulla dinamica della frustrazione e dell’insuccesso.
Durante il percorso formativo si incontrano momenti esperienziali basati su l’Art Comunication con cui favorire una coscienza propriocettiva e gestuale basata sui ritmi, sulla distribuzione della forza e della rapidità, un polidinamismo capace di risvegliare nell’individuo ogni opportunità comunicativa di sé, dei propri sentimenti, della propria emozionalità e disponibilità nei rapporti interindividuali. 
Le esperienze che conducono a come affidare alla mano, organo privilegiato del tatto, la costruzione e interiorizzazione mentale di esso, le evocazioni, le connessioni, le associazioni e i contrasti, porre in risonanza l’elaborazione dinamica di immagini inaspettate, suscitare una dilettevole commozione, non possono essere “studiate” stando “seduti tra gli scanni”, né tantomeno offerti i risvegli, intuiti al pensiero per conferire nuovi aspetti nelle cose note, o raffigurare con gli occhi della fantasia le idee più astratte.
Certo che non “si studia” stando seduti, ma si vive, si partecipa, si assapora ogni specifico elemento espressivo, motorio, prassico, propriocettivo e non, ogni assetto posturale, ogni moto percettivo, verbale, gestuale, è un lavoro su se stessi, realizzato con il suffragio di stimolazioni attentive per una visitazione del proprio corpo e un progressivo abbandono di stati tensionali, reso possibile da condizioni di un ambiente suggestopedico. Altri esempi li cogliamo dalle qualificazioni espressive esposte per suscitare desideri, bisogni, nuove e diverse disponibilità; atti comunicativi che agevolano a “volgersi indietro”, facilitando la lettura e l’elaborazione interpretativa delle immagini di sé. Così come le esperienze per distinguere e diversamente utilizzare gli atti elocutori, i suoni formati da toni e registri, associati alle diverse polarizzazioni nello spazio, sostenuti da impulsi e stimoli capaci di argomenti informativi e dichiarativi, e ogni comunicazione interpersonale costellata da un fertile repertorio e da complesse concatenazioni idonee a dare significato ai movimenti espressivi, saperli utilizzare e farli veicolare. Pur se pochissimi gli esempi formulati, non può sfuggire che “studiare”, declinabile con leggere o ascoltare, non ha certo il significato di ciò che richiede la Pedagogia Clinica nel suo processo formativo retto da un percorso qualitativo indispensabile per saper realmente rispondere, fronteggiare stati e condizioni della persona con interventi utili alla sua emancipazione.

Guido Pesci